A un anno dall’assassinio di Rafik al-Hariri, ex primo ministro del Libano, vittima di un attentato il 14 febbraio 2005, l’impatto profondo che ha interessato il Libano si è rivelato sull’intera regione mediorientale.
Questo evento ha innescato una serie di questioni complesse, compresa la destabilizzazione del paese e i suoi effetti sulla geopolitica della regione.
Destabilizzazione del Libano: Cui prodest?
Dopo l’assassinio di Hariri, le teorie su chi potesse trarre vantaggio dalla sua morte si sono moltiplicate. Hariri era un uomo d’affari di successo e un politico rispettato, sostenitore di una politica libanese più autonoma e meno influenzata dalla Siria. La sua uccisione ha portato a una spinta popolare in Libano per l’uscita delle truppe siriane, culminata nella Rivoluzione dei Cedri del 2005. Questa ondata di proteste ha ulteriormente messo in discussione il ruolo della Siria nel Paese e ha aperto la strada a un possibile cambio di regime politico.
I principali attori che potrebbero beneficiare di questa destabilizzazione includerebbero gli Stati Uniti e Israele. Entrambi avrebbero potuto avere interesse a ridurre l’influenza siriana sul Libano, vista come un ostacolo per i loro obiettivi strategici nella regione. Israele, in particolare, avrebbe potuto vedere l’opportunità di indebolire un potenziale avversario, dato il forte legame storico tra Siria e Hezbollah, che è un attore chiave nel panorama politico e militare libanese.
Il Ruolo della Siria
Sebbene gli Stati Uniti e Israele siano visti come gli attori principali che trarrebbero vantaggio dall’assassinio, è importante notare anche il contesto siriano. La Siria, sotto il regime di Bashar al-Assad, aveva mantenuto un certo livello di controllo sul Libano attraverso un complesso di alleanze e tensioni politiche. Sebbene Hariri avesse cercato una maggiore autonomia, non era un fervente anti-siriano, il che rende la sua uccisione un’interrogativo sconcertante. Per la Siria, eliminare una figura così centrale avrebbe comportato una forte destabilizzazione interna, da cui avrebbe dovuto difendersi.
Interventi e risvolti Politici
Dopo l’assassinio, gli Stati Uniti hanno colto l’opportunità per esercitare pressione sulla Siria, chiedendo il ritiro delle sue truppe e promuovendo una retorica di “Libano libero”, designando le forze siriane come occupanti. Questo ha portato a un ritiro graduale delle truppe siriane nel 2005, ma anche a un incremento delle tensioni interne in Libano, dove le varie fazioni politiche hanno iniziato a confrontarsi violentemente. Ciò ha aperto la strada a una serie di conflitti interni che hanno avuto effetti destabilizzanti su larga scala.
Le spinte geopolitiche
Nel contesto di questa turbolenza, il fattore Israele gioca un ruolo cruciale. Israele non solo ha guardato con favore al ritiro siriano, ma ha anche tentato di sfruttare la situazione a proprio vantaggio. Le relazioni sempre tese tra Israele e Hezbollah significavano che qualsiasi caos in Libano potesse essere visto come un’opportunità per indebolire Hezbollah o, almeno, dissuadere la sua crescita.
Il fattore russo e altri attori regionali
È importante considerare anche il contesto internazionale più ampio. Mentre gli Stati Uniti spingevano per un cambiamento in Siria e in Libano, la Russia ha continuato a sostenere il regime di Assad, anche elaborando accordi di fornitura di armi, come i missili SA-18. Questo ha dimostrato la complessità del conflitto, dove vari attori globali cercano di influenzare il risultato a proprio favore.
Le ramificazioni del conflitto
L’assassinio di Rafik al-Hariri ha rappresentato non solo un evento tragico, ma è stato l’innesco di una serie di cambiamenti geopolitici significativi nel Medio Oriente. In questo scenario complesso, la destabilizzazione del Libano ha prodotto divisioni interne, scontri politici e una rinnovata rivalità tra le potenze regionali – Stati Uniti, Siria e Israele. Mentre il Libano cerca di preservare la propria sovranità e stabilità, è chiaro che le forze esterne continuano a giocare un ruolo determinante nel suo destino.