Sono due anni il 16 ottobre che la giornalista maltese Caruana Galizia è stata assassinata. Ma la sua ricerca della verità continua nel lavoro di colleghe e colleghi.
Centonove processi per imbavagliarla anche da morta. La chiamavano “strega dal naso lungo” per delegittimarla per le sue inchieste, la chiamano “strega” oggi perché il suo ricordo si annebbi, perché non sia quello di una martire della verità. Daphne Caruana Galizia, su un’auto imbottita di tritolo. Daphne amava il colore viola: un fiocco viola per ricordarla.
Le indagini di Daphne continuano, a Malta e lontano da Malta. Il figlio giornalista, i colleghi maltesi, i giornalisti europei. Inchieste che partono dai Panama Papers, quelle carte che trasudano denaro e affari illeciti del potere. Tangenti. Pubbliche vergogne.
L’unico modo per onorare Daphne, la prima giornalista assassinata a Malta per il suo lavoro, è quello di continuare il suo lavoro.
L’elenco dei giornalisti uccisi per farli tacere è lungo, anche in Europa. L’elenco delle giornaliste è lungo. Ilaria Alpi, Anna Politkovskaja, Viktoria Marinova, Daphne Caruana Galizia… Con le donne è peggio. Per annientarle, si infangano. Viktoria prima di morire è stata violentata, in un parco: perché nessuno collegasse quella morte ai suoi articoli. Per Daphne (la “strega”), dissero di cercare che problemi avevano in famiglia.
Gli esecutori materiali sono noti, i mandanti nelle nebbie.
Anche GiULiA non dimentica. Al fianco delle colleghe e dei colleghi che hanno raccolto la sua ricerca di verità. Una giornalista muore, il giornalismo no.