Probabilmente avete trovato la vostra bottega del barbiere chiusa. E forse vi siete dovuti accontentare di un pacchetto di cracker per cena perché il vostro chiosco-kebap preferito aveva la saracinesca giù. Capita quando c’è una manifestazione a favore del popolo curdo e contro l’invasione turca. Il curdo, da entità un po’ mitizzata, diventa carne ed ossa: barbiere, cuoco, muratore, vicino di casa. In questi giorni tristi li trovate in manifestazione, sventolando bandiere che portano la stella rossa al centro, o cartelli autoprodotti dall’italiano un po’ zoppicante, con le foto di stragi di civili. La loro guerra – con la loro presenza fisica – diventa la nostra guerra.
Penso a questo mentre, tornando dal presidio che si è tenuto a Milano lunedì 14, ascolto a Radio Popolare il padre di Lorenzo “Orso” Orsetti che ripete lo stesso concetto: “quella guerra è la nostra guerra”. La voce è pacata, di un padre che ha pianto il figlio, ucciso da Daesh in Rojava; un uomo che condivideva il suo “internazionalismo”, che dice di aver trovato conforto tra i compagni curdi di suo figlio. Gente che ha preso in mano il fucile per fermare la barbarie di Daesh. Sapendo che poteva uccidere o finire ucciso.
Ascolto il padre di “Orso”, confronto le sue parole con le immagini del presidio e penso che ancora una volta la storia si ripete: pochi sono disposti a “morire per Danzica”. E non mi stupisce. Il Rojava è lontano e la Turchia ci dà una mano a contenere l’arrivo dei migranti. I curdi sono indefinibili: né turchi né iracheni. Si ammazzino da soli, perché dovremmo metterci in mezzo. E così via. Come giornalisti dovremmo chiederci quanta parte di responsabilità portiamo per questa narrazione falsata, distante, di comodo, che minimizza l’enormità del sacrificio delle forze militari curde per fermare l’avanzata di Daesh.
Non deve stupire che ai cortei in solidarietà dei curdi non ci siano le folle oceaniche. Le mobilitazioni per i diritti umani o per la pace spesso sono iniziate da minoranze attive e consapevoli. Articolo21 c’era. Insieme ai sindacati di base e confederali, dall’Anpi ai cattolici delle Acli, Pd, Più Europa, Rifondazione. E a tanti curdi. Poca retorica: da qui bisogna partire. Per far capire a sempre più persone che le bombe turche in Rojava uccidono anche una parte di noi.
Danilo De Biasio, portavoce per la Lombardia di Articolo21 e direttore del Festival dei Diritti Umani