Padova con i curdi. Due manifestazioni in pochi giorni. Dopo i movimenti, e i centri sociali, ieri sera (lunedi 14 ottobre), istituzioni, partitj e sindacati sono scesi in piazza a fianco del popolo curdo sotto l’ attacco delle truppe di Erdogan. Centinaia di persone in piazzetta Antenore a Padova. Una solidale coralità con le popolazioni curde del nordest siriano, è stata la cifra di tutti gli interventi. Accompagnati da richieste precise agli organismi internazionali per il cessate il fuoco, e lo stop alle forniture di armi alla Turchia. Non sono mancate le critiche alla Nato, e all’ America di Trump che ha tradito gli alleati curdi.
Importanti le presenze e i contributi dell’ Amministrazione comunale con Francesca Benciolini, per la Giunta, del Partito democratico con il parlamentare Alessandro Zan. Paolo Pesiri per Coalizione Civica, l’ Anpi con Floriana Rizzetto. E poi la Cgil e la Cisl, Libera, Articolo 21, I Comitati per la Costituzione, Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, Articolo 1, la rete degli studenti. Libera contro le mafie. Ma al centro di tutto l’ intervento-testimonianza della rete curda, protagonisti della serata. Ed eravamo li per loro, non solo per solidarietà, ma per gratitudine: per il contributo alla lotta all’ Isis, pagato al prezzo di migliaia di vite, e per l’ esempio di democrazia partecipata dell’ organizzazione statuale della regione del Rojava
Una delegazione è stata ricevuta dal prefetto, mentre continuavano gli interventi. Ma quella di stasera segna solo l’inizio di una mobilitazione che si allargherà ad altre città per culminare con una manifestazione nazionale.
È insopportabile quello che sta succedendo, il tradimento e la beffa ai danni del popolo curdo, che oltre a combattere e sconfiggere l’ Isis, ci ha insegnato, con l’ esperienza del Rojava, che si può costruire, in tempo di guerra, una democrazia inclusiva, dove peraltro le donne hanno un ruolo primario, più avanzata di quella dei paesi occidentali. Questo tradimento avrà ripercussioni gravissime e tutti ne pagheremo le conseguenze. La pavida e divisa Europa per prima. Quanto all’ Italia stendiamo in velo pietoso. Non contiamoci. Le parole del ministro degli esteri rappresentano l’ennesima presa in giro. Si alzano i toni contro l’ Europa senza muove un dito, poi quando timidamente l’Europa, trova quel minimo di unità tra gli Stati recalcitranti, per battere un colpo, si afferma che si bloccheranno le commesse di armi italiane verso la Turchia. Ma quando e come,concretamente, si fermeranno commesse per circa 800 milioni in essere, mentre cadono bombe sulla testa di migliaia di curdi in fuga?. Inseguite da truppe turche ora alleate con i terroristi dell’isis in fuga dalle carceri curde? Di fronte al rischio di dover assistere, da europei, ancora una volta impotenti ad un genocidio, le dichiarazioni di principio, i buoni propositi, le stanno a zero. Alle timide e tardive mosse della Ue, proprio nelle ultime ore, mentre le truppe americane abbandonano il campo, il conflitto ha subìto un’accelerazione, morte e distruzione tra i curdi che in massa abbandonano le loro case e i loro paesi.
A noi cittadini, a noi giornalisti, non resta che la protesta, l’informazione dalla parte della pace.
Un impegno a fianco del popolo curdo che metta a nudo le responsabilità, non solo della Turchia di Erdogan, ma quelle gravissime dei mandanti dell’ennesima guerra per procura, gli Stati Uniti di Donald Trump in primo luogo, la Nato che giustifica l’aggressione contro un popolo da parte di uno dei suoi membri, la Turchia, che usa l’organo supremo di difesa occidentale per regolare i conti in casa, dove il “sultano” sta perdendo terreno dopo aver perso il governo di Istambul, e espandere il proprio dominio nell’area mediorientale.
Si dovrebbe fare di più, trovare forme più avanzate e creative per manifestare il nostro dissenso profondo verso questo stato di cose insopportabile. Si dovrebbero coinvolgere i cittadini, e specialmente i giovani, condividendo con loro la constatazione, oggi di stretta attualità, che quello che accade a nordest della Siria non è poi così lontano da noi. La trasformazione della Turchia da paese civile a Stato islamista, aggressivo verso l’esterno e spietato con le minoranze interne, specialmente i giornalisti e gli intellettuali, i sindacalisti e perfino i sindaci e i militari non allineati, è avvenuta rapidamente. E’ bastata una dozzina di anni per cambiare il volto di un paese. Ora la Turchia è un carcere a cielo aperto, non c’è libertà di pensiero né libertà di stampa. Chi ha vissuto questa drammatica trasformazione, come la giornalista Ece Temelkuran, ci dice che i meccanismi di presa del potere da parte di un dittatore sono sempre molto simili. E possono replicarsi anche in un paese occidentale democratico: le forze populiste antisistema indeboliscono gradualmente le istituzioni democratiche, le svuotano di significato e autorevolezza, cavalcano malumori e disagi reali, diffondono parole d’odio e divisive, cercano il capro espiatorio nel più debole del momento, per conquistare, alla fine del percorso, attraverso un voto formalmente democratico, un Parlamento già svuotato. Da quel momento in poi la via maestra è la repressione. Ci hanno provato con risultati alterni, e ci stanno provando in vari paesi europei, non esclusa l’italia, dove un ex ministro della Repubblica ai primi di agosto ha detto: “Chiedo agli italiani di darmi pieni poteri”. Segnali di autoritarismo attraversano il vecchio Continente e ci ricordano che la democrazia non è un fatto acquisito per sempre, che l’orrore e il genocidio possono tornare, che gli anticorpi vanno rafforzati ogni giorno. E questa non è retorica.
(Per capire qualcosa della Turchia di oggi e di quanti sia pericolosamente vicina a noi consiglio di leggere “Come sfasciare un paese in sette mosse” della grande Ece Temelkuran, giornalista, saggista a scrittrice turca che a casa sua non può tornare).
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