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Conte non intacca l’Inferno fiscale

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C’è chi sogna il Paradiso per l’anima e chi i più prosaici “paradisi fiscali” terreni. Gli italiani tartassati dalle tasse, trascurando il pensiero del trapasso mortale, sognano intanto un “paradiso fiscale” per uscire dall’”inferno fiscale”. Il governo Conte due (M5S-Pd-Italia Viva-Leu) ha cambiato programma rispetto al Conte uno (cinquestelle e leghisti) ma ha promesso di nuovo, solennemente, di tagliare le imposte come accadde nel caso precedente.

Tuttavia, al contrario, le tasse sono salite. Nel secondo trimestre del 2019 la pressione fiscale è cresciuta al 40,5%, un aumento dello 0,3% rispetto allo stesso periodo del 2018. E’ il dato più alto dal 2015. E la manovra economica per il 2020 esalta ben poche persone. Praticamente non c’è nulla per la maggioranza degli italiani: lavoratori e pensionati. O meglio: il Conte uno ha tagliato le tasse solo ai lavoratori autonomi con partita Iva e con un reddito fino a 65 mila euro l’anno; il Conte due dovrebbe ridurre le imposte con la futura legge di Bilancio solo ai lavoratori dipendenti con un reddito fino a 26 mila euro l’anno.

Per tutti gli altri contribuenti niente. Ancora una volta dovranno aspettare tempi migliori. Lo Stato non ha soldi, è in bolletta. Nel frattempo i contribuenti (quelli noti all’Agenzia delle entrate perché dichiarano tutto) continueranno a pagare le cinque aliquote dell’Irpef nazionale (dal 23% al 43% sul reddito), le varie Irpef regionali e comunali, i contributi previdenziali, l’Iva, l’Irap, le accise, l’Imu, la Tari e tante altre imposte dalle sigle sinistre.

Giuseppe Conte ha fatto un ennesimo atto di fede: «L’obiettivo è pagare tutti, pagare meno». Il presidente del Consiglio sta facendo i salti mortali per trovare 23 miliardi di euro ed impedire l’aumento dell’Iva nel 2020, arrivare così ad una manovra economica di circa 30 miliardi. Quindi ci saranno solo piccole riduzioni di tasse unicamente per pochi lavoratori salariati dei redditi più bassi perché non ci sono risorse: l’economia italiana non cresce, ristagna. Anzi, c’è il rischio di una nuova recessione.

Naturalmente i problemi sono solo per i contribuenti onesti, per chi già paga tutte le tasse e rischia anzi di pagarne di più con la possibile “rimodulazione” delle aliquote Iva (il pericolo non è del tutto schivato) o con la riduzione degli sgravi fiscali (per i redditi più alti) per le spese sanitarie e per le ristrutturazioni immobiliari.

Chi ride sono gli evasori fiscali. Luigi Di Maio lo scorso maggio, quando era ancora ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro nel Conte uno, denunciò: l’Italia «ha 300 miliardi di euro di evasione fiscale». Forse il capo politico del M5S, ministro degli Esteri nel Conte due, ha esagerato ma le cifre dell’evasione sono comunque altissime. Il ministero dell’Economia fa una stima di circa 110 miliardi di euro, una somma colossale che, se incassata dallo Stato, permetterebbe un imponente taglio delle tasse per tutti: lavoratori dipendenti, autonomi, precari e pensionati.

L’esecutivo M5S-Pd-Italia Viva-Leu, «il governo più a sinistra della storia della Repubblica» secondo Silvio Berlusconi, prevede di recuperare appena 7 miliardi di euro di evasione incentivando l’uso di bancomat e carte di credito per gli acquisti al posto del contante. Ha anche parlato di piani per «le manette agli evasori» ma l’annuncio è poco credibile visto che lo stesso impegno era stato preso dal Conte uno e da tutti i precedenti ministeri della Seconda Repubblica di centro-destra, di centro-sinistra e populisti. Forse basterebbe incrociare i dati tra fisco, sanità e previdenza per far emergere l’evasione.

Un altro nodo cruciale è l’elusione fiscale. In questo caso c’è il ricorso dei contribuenti più esperti e avveduti ad utilizzare tutte le norme per ridurre drasticamente le imposte dovute. È il caso della volatizzazione di gran parte delle imposte di grandi e medie imprese: il fisco italiano, come ha scritto Milano Finanza.it, perde circa il 19% delle tasse societarie che emigrano nei “paradisi fiscali” europei (soprattutto in Olanda, Irlanda e Lussemburgo) perché assicurano una tassazione più favorevole. In questo modo, solo da questo fronte, il paese perderebbe circa 23 miliardi di dollari (oltre 21 miliardi di euro).

Per combattere questa anomalia l’Italia potrebbe battere due strade: ridurre le tasse per frenare l’emorragia verso “i paradisi fiscali” o chiedere all’Unione europea una normativa tributaria omogenea. È ora di agire.


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