Siamo tornati nella stessa aula dove ci avevano insultati, attaccati, dileggiati.
Quanto tempo è passato. 3650 giorni. Un centinaio di udienze. Siamo stremati. Un Pubblico Ministero come si deve. Finalmente. Lo ascolto ricostruire finalmente la verità. È bravo. È preparato. È onesto. È giusto. Ho dietro i miei genitori. Mia madre.
Quando Fabio inizia a parlare di loro mi viene da piangere.
“Siamo stanchi – dice – siamo stremati. Guardateli i genitori di Stefano Cucchi. Hanno dato a tutti noi una lezione di rigore morale, di fiducia nella Giustizia. Di etica. Quando trovarono la droga a casa del loro figlio, pochi giorni dopo averlo visto morto in quelle terribili condizioni, la consegnarono all’Autorità Giudiziaria. Questo, nonostante tutto. Ora guardate Rita Calore. Viene ad ogni udienza sottoponendosi ad una prova terribile. Sta provando lo stesso dolore cui venne sottoposto il figlio. Ha la colonna vertebrale malata. Un male spietato che le procura una sofferenza terribile e, nonostante questo, è qui, e resiste fino al termine dell’udienza. Con quella dignità che è totalmente sconosciuta ai responsabili di tutto questo”.
A Fabio si rompe un attimo la voce.
Sento la sua stanchezza. È quella di tutti noi.
Noi, famiglia di Stefano Cucchi, siamo stai condannati all’ergastolo da coloro che lo pestarono selvaggiamente causandone la morte tra atroci sofferenze. L’ergastolo più dieci anni di tortura.
Non nutro odio nè sentimento di vendetta. Sono troppo stanca anche per quelli e, poi, non mi sono mai appartenuti.
Ho solo voglia di verità e giustizia. Sentire parlare così il Pubblico Ministero mi restituisce quella fiducia nello Stato che stava vacillando.
L’altro ieri era il compleanno di mio fratello. Stefano vorrei tanto dirti che non eri solo. Ma già lo sai