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3 ottobre, per non dimenticare e denunciare responsabilità di queste tragedie

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Dal 2016 la data del 3 ottobre è stata dichiarata Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, con una legge voluta dal parlamento e promulgata dal Presidente della Repubblica il 21 marzo 2016.

Ma se è doveroso ricordare lo è ancor di più riflettere e ammettere che da quel 3 ottobre poco è cambiato. L’Europa ha fallito. Sono trascorsi sei anni dal tragico naufragio a poche decine di metri dalle coste dell’isola di Lampedusa che causò la morte di 368 persone, da quel ‘mai più’ corale che purtroppo è stato più volte disatteso.
Le immagini delle bare, una accanto all’altra, tante bianche e minuscole, nell’hangar dell’aeroporto militare, è ancora nitida nella nostra memoria.
Imperitura memoria perché dimenticare è impossibile.
L’Italia reagì a quella tragedia creando l’operazione “mare nostrum”, che ha salvato tante vite. In un solo anno oltre 170.000.
Ma nell’ottobre del 2014 la missione è stata sospesa perché l’Europa non ha voluto farsene carico, non ha voluto considerare il Mediterraneo un mare “anche” europeo.
Nacque così Triton, una missione diretta più a monitorare e scoraggiare l’arrivo dei migranti piuttosto che a portare soccorso.
Da allora altre 270.000 naufraghi sono stati recuperati da navi italiane e di altri stati europei ma soprattutto da imbarcazioni private e di organizzazioni non governative, come Medici senza frontiere.
Poi è iniziata la politica del contrasto alle ong alle quali si è tentato di continuare a salvare vite.
Molti, troppi, sono ancora i morti che si arenano sulle nostre spiagge o che finiscono in fondo al mare con le carrette su cui si imbarcano sperando in un viaggio della speranza che quasi mai termina in un porto sicuro.

A oggi, da quel naufragio che schiaffeggio un intero continente, le vittime sono state 20 mila e il Mediterraneo è diventato un immenso “cimitero” d’acqua.

La Giornata della memoria ha un unico, giustissimo, fine conservare e rinnovare il ricordo di quanti hanno perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro e altri paesi europei per sfuggire a guerre, persecuzioni e miseria.
Ma non basta una “cerimonia”.
Serve ben altro a impegnare gli Stati a raccogliere la sfida delle migrazioni, a tutelare la vita e la dignità delle persone in fuga. Uomini, donne e bambini che null’altro cercano se non una chance di sopravvivenza.

Solo nell’anno in corso i dispersi sono oltre 1000 che si sommano ai 700 morti accertati e il 2019 non è ancora finito.
Come ricorda l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni unite Filippo Grandi negli ultimi 10 mesi hanno attraversato il mar Mediterraneo oltre 300.000 persone, il 28% sono bambini, molti non accompagnati o separati dalle loro famiglie.

Alternative legali e sicure esistono e vanno implementate: ricongiungimento familiare, reinsediamento, corridoi umanitari, visti per motivi di studio o lavoro. Possibilità concrete affinché le persone in fuga da guerre, violenze e persecuzioni, possano arrivare in un luogo sicuro senza dover intraprendere viaggi pericolosissimi rischiando la vita, ancora una volta, come evidenziato anche dalla portavoce di Unhcr Carlotta Sami.

La giornata del 3 ottobre, ribadiamo, non deve essere solo l’occasione per ricordare la tragedia di Lampedusa, ma un momento di riflessione e di denuncia affinché l’irresponsabilità di chi crea le condizioni di queste tragedie sia ben chiara. L’indifferenza di tanti non può essere accettata.

L’Unione Europea ha finora fallito nel definire una nuova politica comune per l’asilo e sull’immigrazione. I timidi tentativi della Commissione europea per riformare il regolamento di Dublino e per una distribuzione equa dell’accoglienza tra i paesi membri non ha prodotto risultati. Attendiamo gli sviluppi dell’ultima riunione a Malta sul tema migranti della scorsa settimana. I ministri dell’Interno di cinque paesi dell’Unione europea insieme al commissario europeo per le Migrazioni Dimitris Avramopulos hanno concordato a La Valletta un sistema per affrontare lo sbarco e il trasferimento dei migranti soccorsi nel Mar Mediterraneo. I ministri di Malta, Italia, Francia, Germania e Finlandia, paese che ha la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, hanno affermato che questo accordo sarà presentato al resto degli Stati dell’Unione europea in una riunione dei ministri dell’Interno che si terrà in Lussemburgo l’8 ottobre.
La speranza è d’obbligo, ma temo che il blocco di Visegrad possa frenare, o quanto meno limitare, l’azione proposta. Fonti Ue hanno già smontato il documento di Malta: non ci sono obblighi. Non viene menzionata la rotazione dei porti e non è menzionato il distinguo tra migranti economici e profughi.
Samo tutti consapevoli di una realtà: una soluzione “umana” al problema immigrazione non è una priorità dell’Europa.
Non è nemmeno la prima questione che arrovelli la mente di chi ci governa. È, e resta, “semplicemente” il dramma dei disperati che tentano invano di sbarcare sulle nostre coste in cerca di salvezza da guerra, crisi e catastrofi naturali.


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