BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

La vita fiera e ribelle di Lou Von Salomè nel biopic didascalico di Cordula Kablitz-Post

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Eccentrica, spregiudicata, anticonformista e indomabile: la vita di Louise Andreas Von Salomè è stata caratterizzata da legami appassionati e fuori dagli schemi: tra le “vittime” della sua personalità carismatica alcuni dei più grandi intellettuali e artisti vissuti a cavallo fra fine Ottocento e inizio Novecento: da Paul Ree a Friedrich Nietzsche a Rainer Maria Rilke. Nata a San Pietroburgo nel 1861 e morta nella cittadina universitaria di Gottinga, in Germania, dove ha vissuto gran parte della sua vita, nel 1937, Lou (come tutti la chiamavano) è stata filosofa, psicanalista e scrittrice. Agli occhi del regime nazista, che poco dopo la sua scomparsa ne confiscò la biblioteca, una donna tanto volitiva e controcorrente dovette apparire come una vera e propria strega: innumerevoli le sue “colpe”, prima fra tutte essere stata una psicanalista, ossia essersi occupata di quella che il nazismo riteneva la “scienza ebraica” per eccellenza.

Esce ora nelle sale italiane, per la regia di Cordula Kablitz-Post, Lou Salomè, un film che ne racconta la vita fiera e ribelle. La storia inizia nel 1933, quando, a settantadue anni, l’anziana Lou, ormai minata nel fisico (un diabete severo, il cuore che fa le bizze e la vista che progressivamente la sta abbandonando, tanto da costringerla ad aiutarsi con una lente d’ingrandimento per leggere e scrivere) ma non nello spirito volitivo, affida le proprie memorie al biografo Ernst Pfeiffer (che dopo la sua morte sarà il suo esecutore testamentario, nonché colui che, alla fine della guerra, ne recupererà la biblioteca e ne avrà cura fino alla fine dei suoi giorni, pubblicando molte sue opere inedite, diari e corrispondenza), raccontando come nacque il suo amore per la filosofia e come, fin da bambina, fosse determinata a rifiutare le convenzioni borghesi dell’epoca e il ruolo in cui la società del tempo confinava la donna, e a dedicare completamente la propria esistenza allo studio e alla possibilità di espandere il potenziale della mente. Da qui la scelta di totale libertà che la indusse ad astenersi fino all’età di trentasei anni dai rapporti sessuali e a rifiutare l’idea del matrimonio e della maternità (un matrimonio, ad un certo punto, ebbe luogo ma fu solo di facciata, mentre un figlio venne abortito grazie alla “provvidenziale” caduta da un albero).

Foto dal set di ‘Al di là del bene e del male’, 1977

Malgrado si lasci seguire senza particolari asperità o cali di attenzione, il film di Cordula Kablitz-Post non riesce a scrollarsi di dosso un certo tono didascalico, se non addirittura pedagogico, che lo rende null’altro che un comune biopic assai convenzionale nella costruzione, malgrado la personalità altamente anticonvenzionale, invece, di colei la cui vita va ad affrescare. La storia si snoda quindi senza guizzi e senza entusiasmi, con l’unica, peraltro modesta, impennata di un’inquadratura insolita in cui la protagonista, da sola o in compagnia dei suoi accompagnatori di turno (l’artificio viene infatti ripetuto due o tre volte ma risulta già stantio e noioso dopo la prima) si muove nell’ambito di una scenografia statica, costituita dall’ingrandimento di un’ingiallita foto d’epoca.

‘Al di là del bene e del male’, al centro Virna Lisi

Molto più ricco di suggestioni, sebbene discutibile, e sicuramente provocatorio per l’epoca, nonché sconvolgente, se non altro per la connotazione “cattolica” dell’autrice, è il film che Liliana Cavani girò nel 1977, ispirandosi, in modo peraltro molto libero, al triangolo sui generis creatosi tra Paul Ree, Friedrich Nietzsche e Lou Von Salomè: quel Al di là del bene e del male, che non a caso venne premiato nel 1978 con un Nastro D’Argento, e che valse a Virna Lisi, interprete di Elisabeth, la sorella di Nietzsche, un Nastro D’Argento e una Grolla d’Oro come miglior attrice non protagonista.


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