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Sergio Lepri, il mio primo direttore importante

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Sergio Lepri  è stato il mio primo direttore importante. All’Ansa ero arrivato per caso, nel 1976, dopo la chiusura del Giornale d’Italia, che la Confindustria aveva venduto al petroliere Attilio Monti improvvisatosi editore di giornali destinati ben presto a finire male.  Un contratto a termine dopo l’altro, prima  della definitiva assunzione, ho lavorato al servizio fotografico, alla “redazione italiana”, come si chiamava allora il desk principale, e infine in cronaca. Nelle due stanzette  appena sotto il livello della strada, via della Dataria,  dalle finestre poco più che delle feritoie, si poteva vedere passare all’ora di pranzo il Presidente Sandro Pertini che accompagnato da un corazziere in borghese scendeva dal Quirinale per rincasare nell’attico affacciato su Fontana di Trevi.

Spesso un redattore del politico si faceva trovare a quell’ora davanti al portone per “bloccare” Pertini, sempre disponibile, e  scambiare due chiacchiere. Ma le stanzette della cronaca avevano purtroppo altre frequentazioni: gli autonomi che dopo una dimostrazione con scontri con la polizia  andavano a chiedere conto al  cronista di turno dei lanci d’agenzia sull’avvenimento, e le brigate rosse che all’Ansa telefonavano con tono perentorio per far ritirare il comunicato del giorno  in un cestino dei rifiuti nei dintorni.  Erano gli anni piombo che cominciavano a pesare. Un giorno al direttore Lepri chiesi, invano, di spostarmi  in un’altra redazione. Solo qualche anno più tardi, attirato dalla novità  dell’Occhio, il quotidiano popolare della Rizzoli che Maurizio Costanzo stava per varare a Milano, tornai a salire le scale della direzione per rassegnare le dimissioni e partire per l’avventura milanese.

Il direttore Lepri, nel rigirarsi fra le mani la mia lettera di dimissioni, fu lapidario: “Spero non se ne debba pentire” alludendo alla scarsa fiducia che riponeva nel progetto rizzoliano, e “Sappia che l’Ansa è come l’arma dei Carabinieri: chi ne esce non può rientravi”. Considerato che L’occhio durò un anno, fu profetico. Ma il destino mi riservava un nuovo incontro  con Sergio Lepri. Fu qualche anno più tardi quando, da pensionato, sono stato  a lungo tutor della scuola superiore di giornalismo dell’università Luiss- Guido Carli. Vi ritrovai il vecchio direttore dell’Ansa che, anche lui pensionato,  vi teneva lezioni, conferenze, dibattiti.  Mi accolse con grande cordialità, forse non ricordò  il “gran rifiuto” che anni prima avevo fatto con giovanile imprudenza e che all’epoca aveva mostrato chiaramente di disapprovare.


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