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Le due case di Piero

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La Rai e Radio Popolare. Le due case di Piero Scaramucci hanno sempre avuto un forte collante: il servizio pubblico, inteso nel senso più alto. Nato a Praga nel 37, Scaramucci entra in Rai nel ‘61, con quel gruppo di precari  -allora si chiamavano “abusivi”- che farà strada. Tra loro c’è anche Beppe Viola. Segue la politica milanese ed è in quel gruppo di cronisti più attivi, dopo la strage di piazza Fontana, nell’indagare oltre le verità ufficiali. È un atto di puro giornalismo civile: scrive a quattro mani un libro con Licia Pinelli, la vedova di Pino, il ferroviere anarchico precipitato durante un interrogatorio in questura. Quel testo -“una storia quasi soltanto mia”- contribuirà alla completa riabilitazione di un uomo innocente, per tutti la diciassettesima vittima della strage in cui l’italia perse l’innocenza. Nel mezzo dei turbinosi anni Settanta Scaramucci si regala alcuni mesi di aspettativa da una Rai ancora molto ingessata e dà corpo ad un sogno:  una radio libera, Popolare, che sapesse svecchiare i linguaggi e fare un giornalismo nuovo, non filtrato, quello che oggi -con mezzi diversi- chiamiamo citizen journalism. Monta la radio direttamente in una stanza di casa, il mitico Metrocubo. È un successo: in onda irrompono le telefonate degli ascoltatori. Opinioni, dibattiti, racconti in presa diretta, partecipazione e laboratorio culturale via etere: nasce una comunità che ancora oggi -pur di garantire a radio popolare una Completa indipendenza- la sostiene economicamente con oltre 18 mila ascoltatori abbonati. Quei microfoni battezzano gli esordi di alcuni tra i più apprezzati giornalisti, autori e conduttori radiotelevisivi italiani lanciando un messaggio caro al suo fondatore: il giornalismo non può essere equidistante, ma  deve sempre essere equanime. Non fare sconti, non accettare verità precostituite, seguire la realtà non avendo la pretesa di spiegarla, ma di offrire nuovi dubbi, punti di vista diversi è una voce a chi non ce l’ha. Diede un forte contributo anche al sindacato dei giornalisti, prima nell’ideazione della Carta di Fiesole, sui valori del pacifismo, e in una altra stagione fu tra i fondatori di articolo 21.
E si ritorna all’inizio, al valore pubblico del giornalismo: essere sempre al servizio dell’ascoltatore. “Il maltempo non esiste” era una delle prime lezioni che Piero regalava ai suoi giovani cronisti invitandoli a precisare e a lasciare le espressioni più abusate “chi ti ascolta vuole sapere se incontrerà un acquazzone, un alluvione, un uragano o una frana. Non perdere altro tempo, e cerca di spiegarglielo”.

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