Il giro della morte. Dall’esecutivo con la Lega a quello con il Pd. Di Maio fatica a reggere l’urto dell’acrobatica capriola: il governo M5S-Pd-Leu. Il ministero populista grillo-leghista, il primo dell’Europa occidentale, è durato appena 14 mesi. Doveva governare cinque anni, fino al 2023, invece è finito il 20 agosto quando Giuseppe Conte si è dimesso da presidente del Consiglio, dopo la sfiducia annunciata due settimane prima da Salvini per i troppi no pronunciati da Di Maio (cominciando dalla Tav Torino-Lione).
I grillini temono le elezioni politiche anticipate chieste da Salvini, temono di dimezzare dal 32% al 17% i voti (come è successo già nella consultazione europea di maggio) in favore della Lega col vento in poppa (è salita dal 17% al 34%). Così, per evitare il voto anticipato, hanno fatto rotta verso il Partito democratico, il nemico numero uno di sempre.
Ma il Movimento insorge su Internet e nelle discussioni nei bar. La netta maggioranza dei militanti e degli elettori grillini, avvertono i sondaggi, è nettamente contraria all’intesa. Il Pd è stato attaccato, insultato e sbeffeggiato per dieci anni da Beppe Grillo come il partito da abbattere (assieme a Forza Italia di Berlusconi), perché difensore del Sistema, delle élite, dei privilegi della Casta. I segretari democratici sono finiti per anni nel mirino del fondatore del M5S. Bersani era uno «zombie politico» e «Gargamella», Renzi era l’«ebetino di Firenze» e il «menomato morale».
Nel 2013 Grillo tuonava contro Bersani: mai con il Pd. Lo paragonava addirittura a Berlusconi: «Pdl (il partito del Cavaliere n.d.r.) e pdmenoelle pari sono. Non c’è alcuna possibilità per me di allearmi né con uno, né con l’altro, né di votargli la fiducia».
Invece è arrivata, improvvisa, la svolta dell’alleanza dalla Lega al Pd. Il protagonista è sempre Grillo. Il 18 agosto il garante pentastellato ha proposto la rocambolesca giravolta. In un vertice dei cinquestelle nella sua villa toscana di Marina di Bibbona, ha scaricato la Lega e ha fatto rotta verso il Pd: Salvini da leale è diventato inaffidabile, un traditore. Il garante pentastellato ha parlato di «una pugnalata di agosto».
Il 31 agosto è arrivato il passo successivo, quello decisivo. Il comico genovese, in un video sul suo blog, ha innestato una improvvisa marcia indietro per dire sì all’alleanza con il Pd ed abbattere le forti resistenze nei cinquestelle (da Casaleggio a Di Battista, allo stesso Di Maio) al governo assieme a Zingaretti. Ha parlato addirittura di «un momento storico» da utilizzare per cambiare l’Italia. Si è rivolto perfino direttamente «al Pd, alla base dei ragazzi del Pd: siate contenti, è il vostro momento questo, abbiamo un’occasione unica, Dio mio unica!».
Così è nato il governo Conte due, l’esecutivo composto da M5S-Pd-Leu. Di Maio è rimasto al governo anche se con un ruolo ridimensionato: nel Conte uno era vice presidente del Consiglio, ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico; nel Conte due è alla guida degli Esteri.
I cinquestelle hanno messo in soffitta l’opposizione totale anti Sistema, cresciuta tumultuosamente cavalcando la grave crisi economica italiana e gli scandali pubblici. Hanno accantonato il populismo sviluppato sulla protesta sociale basata sull’anti parlamentarismo, sulla cancellazione dei partiti tradizionali, sul progetto del reddito di cittadinanza, sull’uscita dell’Italia dalla Ue e dall’euro.
Il primo segnale della incredibile metamorfosi e del giro di valzer da Salvini a Zingaretti è arrivato dopo la disfatta dei grillini (e il boom del Carroccio) nelle elezioni europee di maggio. Il M5S ha votato assieme al Pd la popolare tedesca Ursula von der Leyen presidente della commissione europea.
Così è arrivato il governo giallo-rosso. Dopo un primo secco no, Zingaretti (pressato da Renzi e da gran parte dei democratici) ha ingoiato il rospo, ha detto sì a «un governo di svolta vera». Il Conte due è in pista e chiede la fiducia al Parlamento. Il M5S si è omologato, non senza contraddizioni e sussulti, nel Sistema. Ora la scommessa è sui risultati del governo «per una nuova fase riformatrice» (come l’ha chiamata il presidente del Consiglio), su quanto durerà e su chi farà il donatore di sangue tra i democratici e i grillini. La paura dei cinquestelle è di subire un nuovo colpo, di deludere ancora i militanti e gli elettori della protesta anti élite. La paura è di aver solo rinviato una pesante disfatta alle politiche.