Il giuramento dei ministri sembra una pura formalità, ma è un atto simbolico profondo, che si richiama ad antichissimi riti di irrevocabile legame e supremo impegno.
La sua fonte è l’articolo 54 della Costituzione, che prescrive “disciplina e onore” per chi svolga funzioni pubbliche. Quella di Ministro è un’alta carica di servizio per la collettività e chi è chiamato a svolgerla, deve impegnarsi davanti al popolo sovrano riunito nella Repubblica – rappresentato dal Presidente davanti al quale si giura – ad “osservarne lealmente la Costituzione e le leggi (disciplina) e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione (onore)”.
Quest’ultimo passaggio, in particolare, significa che in caso di conflitto d’interessi tra una vantaggio personale e il bene del Paese, è “onorevole” solo chi privilegi quest’ultimo. Basta solo un rapido pensiero agli ultimi anni della nostra storia politica, per vedere quanti spergiuri hanno invece usato le alte funzioni pubbliche per il loro personale interesse. Con un danno culturale enorme, perché i traditori di funzioni pubbliche autorizzano l’individualismo dei privati. E la Nazione rimane sempre più priva di dedizione e coesione. Salvata da quei pochi – che ancora ci sono – che insistono nel curare gli ideali comuni, con disciplina e onore.
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