Quando le minacce alla libertà di espressione si verificano all’interno di un’istituzione come un ateneo universitario il campanello d’allarme dovrebbe cominciare a suonare nella testa di molti. E stavolta il campanello ha cominciato a suonare presso l’università di Catania dove il Cda, presieduto dal rettore Antonio Recca ha deciso di emanare un documento contenente le “linee guida comportamentali nel caso di apertura di procedimenti disciplinari” in osservanza dei poteri concessi allo stesso dall’art. 10 della legge 240/2010 ( Legge Gelmini).
Il documento funziona come una sorta di vademecum, come ben spiegato anche dal blog Rete 29 aprile su Il Fatto quotidiano, in caso di provvedimento disciplinare in corso, inciampando però pesantemente, come denuncia Piero Graglia sul post in questione, sull’articolo21 della Costituzione.
“La trasparenza è una pietanza indigesta per molti – scrive infatti Graglia- ma per il mondo universitario diventa addirittura mefitica. Facciamo tutto tra noi, evitiamo interferenze, soprattutto, diocisalvi, le pericolosissime assemblee dei docenti o i sovversivi dibattiti pubblici, per non parlare di quella stampa, così curiosa…”
E le interferenze di cui sopra sono ben definite nel documento prodotto dal Cda di Catania: “Interferenze esterne sul regolare svolgimento e la corretta conclusione del procedimento
disciplinare si determinano – recita il provvedimento – senz’altro allorquando vengono avviati pubblici dibattiti, siano organizzate assemblee di docenti, siano coinvolti organi istituzionali o, finanche, organi di informazione, con il rischio, soprattutto in quest’ultimo caso, di gettare discredito sull’intera istituzione universitaria.”
Vietati dunque i dibattiti, soprattutto pubblici e in particolar modo in presenza di mezzi di informazione… pena, “la possibilità che i competenti organi dell’ateneo avviino un autonomo procedimento disciplinare qualora dette interferenze si traducano in vere e proprie strumentalizzazioni a danno dell’istituzione universitaria.”
Documento che ha chiaramente suscitato ira e indignazione presso i diretti interessati: “Ci chiediamo – si legge nel comunicato stilato dal CUdA (Coordinamento di ricercatori, docenti, precari, studenti e personale T.A. dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica libera, aperta, plurale e democratica)– e chiediamo a chi vive e lavora all’università di Catania, ma anche a tutti i cittadini avvertiti della nostra comunità: cosa getta più discredito sull’istituzione universitaria: un abuso unico in Italia dell’esercizio disciplinare… o la difesa costituzionalmente prevista dei propri diritti? Un dibattito franco e democratico o un rettore che teme la libertà di parola, si trincera in una cittadella di Yes Men, non trova conflitto di interesse nell’essere il fratello a capo della TV dell’Ateneo e non avvia provvedimento alcuno contro chi diffonde messaggi elettorali (del suo partito, guarda caso) utilizzando la mailing list studentesca (protetta dalle leggi in tema di privacy)? E’ più grave che singoli docenti difendano il proprio operato in qualsiasi luogo e nei limiti previsti dalla legge o che un rettore che si è fatto eleggere impegnandosi a tenere fuori la politica dall’accademia si appresti a candidarsi (tenendosi stretta la carica fino ad elezione avvenuta)?”
E continuano rivolgendo un appello direttamente al rettore: “ …il suo CDA può deliberare ciò che vuole, ma la Costituzione viene prima; quella Costituzione, le rammentiamo, che recita all’art. 28: “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazioni di diritti.” Se lei e il Cda non ritirerete tale indegna norma adiremo le vie legali. A nessuno è consentito trasformare l’Università, alta istituzione della Repubblica, in luogo di privazione dei più elementari diritti di cittadinanza civile.”