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Giornata nera per la democrazia. Conte si consegna a Salvini

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Clamorosa protesta al Senato. I grillini assenti quando il premier comincia a parlare. Su Moscopoli il capo della Lega ha mentito? Mozione di sfiducia del Pd

Di Alessandro Cardulli

È stata la giornata della resa dei grillini al capo della Lega, il quale si è ben guardato dal presentarsi in una delle aule del Parlamento dove il premier dava conto del suo operato. Alla Camera rispondendo al question time spiegava, ad uso dei pentastellati in particolare imbelviti per il sì alla Tav pronunciato  da Conte, perché aveva cambiato opinione. Affermava il premier, che fino a qualche giorno fa era stato un feroce assertore no Tav, che proseguendo con il no si sarebbe dovuto pagare una micidiale penale. Dando l’ok invece, dopo aver fatto la guerra alla Francia, proprio grazie  al nemico parigino i danni sarebbero stati limitati, se non evitati. “Ciò che non siamo riusciti ad ottenere è la ridiscussione dell’opera e questo a causa della ferma decisione della Francia di proseguire nella realizzazione” della tratta, ha spiegato. “Questo è stato l’elemento decisivo che ha pesato nella mia valutazione” perché una decisione unilaterale dell’Italia “avrebbe costi ingenti per le casse dello Stato e quindi chiare ripercussioni negative. Quando si ha a che fare con accordi internazionali tra due Paesi, già ratificati da entrambi i Parlamenti – ha proseguito – si hanno infatti due strade per venir meno alla precedente intesa: o si raggiunge un nuovo accordo bilaterale – strada che, come ho detto, ho perseguito fino alla fine – oppure si denuncia l’accordo con una decisione unilaterale. Decisione unilaterale, però, che avrebbe costi ingenti per le casse dello Stato e quindi chiare ripercussioni negative. E da qui la mia affermazione che oggi – a queste condizioni, cioè senza un accordo con la Francia – fermare l’opera sarebbe più svantaggioso che realizzarla”, spiega Conte esplicando in Aula di voler chiarire quanto annunciato ieri nel video da Palazzo Chigi sul Tav. Per Salvini le dichiarazioni di Conte sono il segnale della resa.

Salvini non si fa vedere sia a Montecitorio che a Palazzo Madama

Quando si dice il mercato. Salvini non poteva che esultare. Poteva, magari, fare un salto a Montecitorio. Invece no, se la cavasse da solo l’avvocato Conte. L’assenza di  Salvini, neppure una fugace presenza, neppure due parole e via, era un segnale per quanto sarebbe accaduto nel pomeriggio, ore 16,30 quando al Senato il premier avrebbe dato conto sull’operato moscovita di Salvini e soci, i suoi amici, i suoi “dipendenti”, collaboratori, coloro che il vicepremier, ministro dell’Interno, anche di fronte alla realtà dei  fatti aveva  negato perfino di conoscere.

Nell’Aula del Senato c’è molta agitazione, grillini e leghisti manco si guardano

L’Aula di Palazzo Madama ribolle, c’è molta agitazione, grillini e leghisti manco si guardano. E avviene il fattaccio. Conte si presenta puntuale, ore 16,30 così come concordato con  la presidente del  Senato. Parte dell’Aula si svuota, i senatori grillini se ne vanno. Pochi ministri restano ai banchi del governo. Un segnale chiaro, evidente di protesta per il voltafaccia del premier in merito alla Tav. Protestano i senatori, protesta il “popolo della Tav”. Si annunciano giornate di fuoco, lotte senza tregua. Conte dà un’occhiata intorno per vedere se  Salvini si sia fatto vivo. Niente, non c’è neppure l’ombra. L’Aula di Palazzo Madama ribolle, la presidente cerca di riportare l’ordine. Si capisce da come intende dirigere la seduta che sarà dura per le opposizioni. In particolare per il Pd che, come denuncia il senatore Parrini, ha presentato ben sette interrogazioni ma Casellati non ha mai dato risposta. Interventi di cinque minuti, richiamo per chi supera il tempo. Quasi si trattasse di questioni di secondaria importanza. Marcucci, il capogruppo Pd, annunciava la immediata presentazione della mozione di sfiducia personale. Conte  si presentava con un mucchietto di carta. L’intervento tutto scritto. In poche parole doveva ammettere che Salvini non aveva detto la verità sul ruolo di Gianluca Savoini e degli altri collaboratori, ruolo negato dal vicepremier. Conte ricostruisce i viaggi di Salvini in Russa. “Salvini – afferma  il premier – è stato presente a Mosca anche il 15 luglio 2018 per la finale del mondiale di calcio e il 16 luglio 2018 per l’incontro con le controparti russe. In quella occasione fu notificata alle controparti russe dalla nostra ambasciata la composizione della delegazione italiana su indicazione del protocollo del ministero dell’Interno: la delegazione ufficiale comprendeva anche il nominativo del signor Savoini”.

Confindustria non ha ancora aperto alcuna inchiesta sulla sede moscovita

All’ormai famoso incontro all’hotel Metropol di Mosca, in cui ci sarebbe stata una trattativa per un affare sul petrolio, Gianluca Savoini era presente come ‘uomo della Lega’: è quel che risulta nell’inchiesta della Procura di Milano su presunti fondi russi al Carroccio. Ad ogni modo, le indagini dovranno chiarire se il presidente dell’associazione Lombardia-Russia, tra gli indagati per corruzione internazionale, abbia agito o meno per conto di qualcuno e di chi. Singolare il fatto che Confindustria italiana non dica una parola, non abbia aperto alcuna inchiesta. Conte, avviandosi alla conclusione afferma che  Savoini e gli altri presenti anche alla cena facevano parte della  delegazione ufficiale. Poi  cerca di rassicurare i senatori e conclude l’informativa: “Mi adopererò perché tutti i miei ministri e gli altri membri del governo vigilino con massimo rigore affinché negli incontri governativi siano presenti solo ed esclusivamente persone accreditate ufficialmente che siano tenute al vincolo della riservatezza. Questo per avere la massima garanzia che le informazioni riguardante l’attività di governo siano gestire con la massima cura”.  Parla delle indagini della Procura di Milano. “Non conosciamo quali elementi siano stati acquisiti né le conseguenze dell’indagine in corso. Il piano del governo è distinto dall’indagine della procura di Milano. Ora non ci sono elementi per incrinare la fiducia con membri del governo”. Fiducia anche in chi gli ha raccontato bugie? Pare proprio di sì.  Dice che “mai alcuna forza di governo avrebbe potuto avere la possibilità di intrattenere rapporti di parte con altri Paesi. Ciascuna forza politica è libera di coltivare rapporti. Mi sono sempre adoperato affinché gli interessi di parte fossero vagliati al filtro degli interessi nazionali. Su questo sono esigente”. Evidentemente, alla sua “esigenza” deve essere sfuggito qualcosa. Basta leggere la trascrizione delle telefonate intercorse tra i vari personaggi protagonisti di Moscopoli. Fra gli interventi oltre a quelli, molto netti, argomentati di Parrini (Pd), Loredana de Petris (Leu), di una esponente di Forza Italia, molto tentennante, un colpo al cerchio, una alla botte, meglio tenersi pronti ad assumere posizioni di governo, in alleanza con Salvini, Meloni e qualche altro transfuga berlusconiano, da segnalare quello del capogruppo leghista, Massimiliano Romeo, scatenato sui “rubli  russi al Pci”, e perché no qualche puntata anche sui bambini di Bibbiano. Dice: “Prendiamo atto della solerzia con cui il presidente del Consiglio ha risposto alla richiesta del Pd sulle presunte trattative tra la Lega ed esponenti di nazionalità russa”, dice “sapete tutti voi che stiamo parlando del nulla, di qualcosa che è più vicino alla fiction che alla verità: qualche collega giornalista ha parlato di Totò che vende la fontana di Trevi. Non ci sono rubli né petrolio”.

Finisce la sceneggiata di Conte. I grillini tacciono. Arrivano i primi commenti via facebook fra i quali quelli di Matteo Renzi, un attacco durissimo dell’ex premier. Poi si cimentano editorialisti di varie testate. Nel frattempo Salvini si era fatto sentire. “Chi resta sul no”, dice riferito ai pentastellati, “non è contro il governo o contro Salvini. È contro  il futuro, il buon senso”.

Da jobsnews

 

 


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