a cura della redazione di Cosa Vostra
Nel libro “Mafia come M”, tenendo presente quanto sia importante il valore della memoria, non solo delle vittime innocenti, ma anche delle inchieste giudiziarie passate (a fronte della continua sottovalutazione o della negazione della presenza delle mafie nel Nordest), abbiamo ricordato anche due importanti indagini a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta.
“La prima indagine che vogliamo ricordare è quella portata avanti dal giudice Carlo Palermo che a Trento fece luce su un traffico di droga e di armi tra l’Italia e il Medio Oriente. Al centro dell’inchiesta giudiziaria stava la figura del trentino Karl Kofler, legato al turco Arslan Hanifi e al siriano Henry Arsan, a sua volta in contatto con Renato Gamba, titolare di un’industria di armi e membro del comitato per il controllo delle stesse, operante presso il Ministero degli Interni. L’indagine nasceva in seguito al ritrovamento di 110 chili di morfina, dentro contenitori metallici per il trasporto del latte, interrati vicino l’abitazione di tale Herbert Oberhofer, il cui nome già si era legato in passato al terrorismo sudtirolese e ai Servizi segreti, che il giorno dell’arresto, il 22 dicembre 1980, si trovava in compagnia di un importante costruttore edile di Bolzano e del vicedirettore della locale Cassa di Risparmio Landessparkasse”.
Karl Kofler era in contatto con narcotrafficanti legati alla mafia, come Leonardo Crimi, inviato in soggiorno obbligato proprio in Veneto negli anni Settanta; sempre Kofler “aveva organizzato insieme ad altre persone – quasi una quarantina sarebbero state quelle incriminate – l’importazione dalla Turchia e dalla Siria di grossi quantitativi di eroina e di morfina base; aveva creato depositi per conservare tali sostanze a Trento, Verona e Bolzano e, in quest’ultima città, persino una raffineria per lavorarla. L’eroina era destinata al mercato circostante mentre la morfina veniva consegnata ad alcuni esponenti di Cosa Nostra, in particolare a Gerlando Alberti, considerato uno dei criminali responsabili dell’espansione della mafia siciliana nel Nord Italia, ai fratelli Grado, ai fratelli Fidanzati e a Salvatore Enea. Da questi mafiosi, la droga, una volta raffinata, veniva smerciata nel Nord Italia o seguiva la rotta atlantica, per gli Stati Uniti. Al contrario, dal nostro Paese veniva organizzato un traffico di armi verso il Medio Oriente, in cui erano coinvolti personaggi della massoneria deviata e uomini dei Servizi segreti”.
L’indagine condotta dal giudice Carlo Palermo, tuttavia, fu pesantemente ostacolata, quando toccò proprio il traffico di armi. In particolare l’attività giudiziaria di Palermo fu osteggiata dal potere politico, quando il giudice scoprì un presunto finanziamento illecito al Partito socialista italiano, il PSI. “Assai singolare, infine, la conclusione della vicenda giudiziaria per alcuni imputati: Henry Arsan e Karl Kofler sarebbero morti in carcere. Kofler fu “suicidato” tagliandosi la gola con una lametta e perforandosi il cuore con uno oggetto acuminato, contemporaneamente”.
La seconda indagine che vogliamo ricordare è quella riguardante Verona, quando la città scaligera era conosciuta come “Bangkok di Italia”.
“La centralità di Verona nelle rotte del narcotraffico era da ascriversi sia, come detto, all’espansione dei mercati internazionali della droga, sia alle sue intrinseche peculiarità: era un ambiente socio-economico in via di sviluppo, aveva bassi livelli di delinquenza locale e le forze dell’ordine erano sotto dimensionate. In altre parole, Verona era una terra promessa, da conquistare. Quando aumentò la domanda di beni e di servizi illeciti, due furono le caratteristiche che definirono l’evoluzione criminogena della “Bangkok italiana”: la disseminazione della piccola e media imprenditoria, a carattere ovviamente familiare – come tratto distintivo veneto – e della mentalità di mercato in ogni settore, compreso quello illegale; l’assenza di una tradizione di conflittualità violenta e di criminalità organizzata”. Ma l’espansione del mercato degli stupefacenti a Verona scavalcò in quegli anni le risorse e le possibilità di un suo controllo effettivo da parte dei mafiosi presenti sul territorio tanche che “l’assai remunerativo traffico di stupefacenti, furono criminali professionisti locali, sicuramente cresciuti all’ombra delle stesse famiglie mafiose e “promossi” al rango di importatori e distributori di eroina. […] Il ruolo dei “mercanti di Verona” crebbe nel corso degli anni Ottanta, fino ad assumere una posizione di centralità nell’importazione e nel rifornimento di eroina a Verona e in altri mercati minori dell’Italia settentrionale: consegnavano a domicilio e distribuivano con regolarità negli stessi luoghi”. E così Verona non solo era diventata luogo di spaccio ma anche di deposito delle sostanze stupefacenti. La distribuzione dell’eroina, coordinata in città dai “mercanti”, all’apparenza normali cittadini e professioni, “era così ramificato e affidabile che anche le organizzazione mafiose lasciarono libertà d’azione a questi criminali locali che nulla avevano da invidiare ai loro più famosi colleghi”. Negli anni Novanta l’“Operazione Arena” portò all’arresto dei “mercanti”, di fatto chiudendo questa impresa criminale a carattere familiare, che aveva dimostrato quando la “via del narcotraffico” fosse un facile metodo di arricchimento, a discapito delle migliaia di giovani tossicodipendenti e delle decine di morti per overdose.
[Tratto da “Mafia come M. La criminalità organizzata nel Nordest spiegata ai ragazzi” – Linea Edizioni, 2019]