Era nell’aria, ce lo aspettavamo da un momento all’altro eppure non si sfugge al senso di solitudine e sconforto che, inevitabilmente, caratterizza questo giorno.
Non voleva farsi chiamare Maestro, non sopportava la retorica, le frasi altisonanti, i paroloni, gli encomi, le celebrazioni; non amava gli eccessi di parole, le ipocrisie, la cattiveria del nostro tempo, la scomparsa dei rapporti umani, la violenza dilagante e l’odio che segna in maniera forse irreparabile la nostra società.
Originario di Porto Empedocle, nella Sicilia terra di frontiera, martoriata contemporaneamente dalla mafia, dal fascismo e, successivamente, dallo sbarco delle truppe alleate, in quel lembo d’inferno si formarono le idee che ne avrebbero caratterizzato la scrittura e forgiato la grandezza, con quell’arte quasi visiva di narrare le singole vicende fino a trasformarle in carne viva, materia sensibile e straordinaria di un racconto che va al di là del tempo.
Ecco, se c’è una caratteristica che tutti abbiamo amato di Camilleri era questo suo saper proiettare i propri personaggi oltre la realtà contemporanea, oltre le polemiche contingenti, oltre gli scenari quotidiani di un paesaggio asfittico, conferendo loro quel respiro universale che li ha resi unici.
Camilleri dipingeva volti, storie, pensieri, amori, amicizie, drammi e condiva il tutto con una squisita umanità, capace di risultare leggera anche quando doveva dire cose tremende, accogliente anche quando esprimeva un giudizio di condanna, potente ed espressiva come tutti i sentimenti nobili applicati alla barbarie.
Non morirà mai, questo già lo sappiamo, come sappiamo che fra venti, trenta, cento anni le sue opere saranno ancora dei classici della letteratura, la sua arte sarà profonda come il mare in cui nuota Montalbano e la sua bellezza interiore sarà un patrimonio comune che nessuno potrà ignorare.
Camilleri resterà come i paesaggi della sua terra, come la sua lingua, immaginifica e reale al tempo stesso, perfetta per costruire un mondo e dargli vita, anima, sentimenti e passioni travolgenti. Rimarrà come una storia che non si spezza, come un percorso esistenziale che continua, come una lettura dalla quale è impossibile staccarsi, come un filo che non si interrompe e ci guida alla scoperta della complessità. Rimarrà come il vento, come le nuvole, come il cielo, come l’alba, come un bene comune di cui avvertiamo costantemente il bisogno. Rimarrà come le sue parole, sempre più roche a causa delle innumerevoli sigarette aspirate e proprio per questo ancora più suggestive, avvolte da quel filo di fumo che riempiva la stanza ed era un altro segno tangibile della sua presenza.
Camilleri rimarrà come il silenzio che oggi è dentro di noi e non se ne andrà per un po’: un silenzio d’attesa e di ricerca, di poesia e di dolore, un silenzio vivo, carnale, ricco di atmosfere e di emozioni. Poi torneremo a sentire la voce di Montalbano, quella di Catarella, la dirompente maestà dei suoi romanzi storici e civili e sarà come ritrovare un tempo, il nostro tempo, senza fine né addio, senza più spazio per la rabbia che pure ci sta travolgendo.
Diceva Sciascia, a proposito di Moro, che il suo era, per l’appunto, “un tempo da rtrovare”, un’avventura umana colma di senso che andava al di là di ogni definizione. Ci ho ripensato oggi, apprendendo la notizia che non avrei mai voluto apprendere, ed ecco che si è materalizzata davanti ai miei occhi quella terra di Sicila in cui spesso le cose accadono al momento giusto e, con altrettanta rapidità, svaniscono. Il Maestro è durato quasi un secolo, prima di consegnarsi all’immortalità.
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