Strano Paese l’Italia: la Società Italiana degli Autori ed Editori (Siae) presenta, mercoledì 10 luglio 2019, la nuova edizione dell’“Annuario dello Spettacolo”, certifica la crisi del cinema in sala nel 2018 (“Profondo rosso”, titola l’Ansa) e la tenuta di altri settori (il teatro segna un + 3 % di spesa del pubblico), la crescita del business dei concerti di musica leggera (+ 17 %), e… qual è la reazione degli operatori economici del settore cinematografico?! Difesa a riccio e flebo di ottimismo.
I dati Siae, rispetto al cinema, sono impietosi: “l’attività cinematografica ha segnato per il secondo anno consecutivo una pesante contrazione. Tutti gli indicatori del settore sono preceduti dal segno negativo, tranne il numero di spettacoli, che rimane sostanzialmente invariato (+ 0,70 %) così come il numero di giornate solari (- 0,11 %). Nel 2018 gli ingressi sono stati 7,9 milioni in meno rispetto all’anno precedente. Anche gli indicatori economici sono tutti in diminuzione: spesa al botteghino – 6,44 % e spesa del pubblico – 6,89 %”. Nulla di nuovo, ma qui è il “notaio” a certificare il crollo.
Le quattro maggiori associazioni diramano nella tarda serata di mercoledì un lungo comunicato stampa, che oscilla tra il piccato ed il surreale, sostenendo che quella proposta da Siae sarebbe una “lettura statica” (?!). Segue la firma di Mario Lorini (presidente Anec, gli esercenti), Carlo Bernaschi (presidente Anem, i multiplex), Francesca Cima (presidente produttori Anica), Luigi Lonigro (presidente distributori Anica). Scrivono i quattro nel comunicato “congiunto”: “una lettura dei dati del mercato del cinema in sala del 2018 – consegnata a oltre sei mesi dalla conclusione dell’anno – non può che confermare quanto già era emerso dall’analisi puntuale svolta da Cinetel, comunicata a inizio gennaio 2019 e al recente aggiornamento semestrale”. A parte la (non) velata ironia sul presunto ritardo delle elaborazioni Siae (che pure propone dati consuntivi e certificati, sull’intero territorio, e non parziali come quelli di Cinetel), segue una precisazione quasi… orgogliosa, del luminoso… futuro che verrà: “determinante, come sottolineato la scorsa settimana dalle Associazioni a Riccione in occasione di Cinè – Giornate di Cinema, il risultato dei mesi estivi di maggio e giugno, che complessivamente hanno visto il nostro mercato crescere del 29,4 % rispetto all’analogo periodo del 2018, del 27,1 % rispetto al 2017 e dell’1,28 % rispetto al 2016, grazie a un forte impegno di tutti i comparti della filiera per una programmazione cinematografica importante anche nei mesi più caldi”.
In sostanza, sostengono le associazioni, con i soliti giochi della “numerologia”, che il 2018 sarà anche stato “annus horribilis”, ma l’estate del 2019 segna una controtendenza, tutti in attesa di osservare i risultati della tanto decantata campagna promozionale “Moviement”: “come noto, il risultato dei mesi estivi è sempre stato determinante sia nel saldo finale dell’anno che nel confronto con i mercati esteri, dove invece c’è da sempre una programmazione di titoli importanti durante tutti i 12 mesi dell’anno. La seconda parte del 2019 si presuppone altrettanto significativa con alcuni attesissimi titoli sia nel proseguimento della stagione estiva che, a seguire, in quella autunnale che sarà caratterizzata quest’anno da una forte presenza del cinema italiano”.
Attendiamo fiduciosi, ma ricordiamo che, finora, la campagna “Moviement” (se è stata effettivamente essa il volano, e se invece il lieve incremento di della fruizione “theatrical” non sia il frutto di una pluralità “casuale” di concause) ha determinato un incremento dei consumi, fino a giugno, di appena un + 6 % (fonte: Cinetel stima confermata dalla stessa Siae in relazione al pre-consuntivo del primo semestre dell’anno) rispetto all’anno scorso (e si resta comunque a quota – 2 % rispetto al 2016).
Al contempo, la quota di mercato del cinema italiano cola a picco: dal 1° gennaio al 7 luglio siamo al 18,50 % (!!!), a fronte del 62,99 % del cinema Usa.
Si ragioni anche di questo, prima di intonare i cori entusiastici, e l’invito è indirizzato anzitutto al Ministro ed alla Sottosegretaria delegata. “Moviement” cavallo di Troia dei “blockbuster” americani, con buona pace dell’immaginario “made in Italy”?!
L’ottimismo della Sottosegretaria Lucia Borgonzoni
In aiuto alla lettura critico-difensivo-positiva delle 4 associazioni, interviene, nel pomeriggio di mercoledì 10 luglio, anche la Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni: “Ringraziamo la Siae per i dati sul settore del cinema pubblicati oggi. I dati comunicati e relativi al 2018 rivelano una situazione di difficoltà di cui eravamo consapevoli, e in risposta alla quale abbiamo messo in campo, come governo, una serie di interventi e iniziative a sostegno del settore, che già nel 2019 hanno iniziato a dare i loro frutti. Per quest’anno, infatti, gli incassi da botteghino nel periodo maggio-giugno sono di 52,7 milioni di euro, rispetto ai 38,9 milioni dello stesso periodo del 2018”. La Sottosegretaria è proprio convinta: “un trend positivo che appare ancora più evidente se si guarda al dato parziale sul singolo mese di luglio, a ridosso, quindi, dell’entrata a regime, dalla metà di giugno, dell’iniziativa Moviement, la campagna lanciata dal settore del Cinema insieme al Mibac per stabilizzare l’offerta nelle sale cinematografiche durante tutto l’anno, e che sta evidentemente avendo un ritorno positivo in termini economici e culturali. Per il 2019, il dato di luglio, poco dopo l’avvio di Moviement, segna già un + 75,28 per cento sull’incasso rispetto al 2018, e sulle presenze una crescita del 65,15 per cento. Una tendenza positiva destinata sicuramente alla conferma su tutto il mese. Il settore sta dunque dimostrando che gli stimoli messi in campo vanno nella giusta direzione”. Onestamente, crediamo che si debba attendere settembre, per comprendere l’effetto reale della campagna “Moviement”, senza lasciarsi andare all’“ottimismo della volontà” (vedi anche “Key4biz” del 17 giugno 2019, “Il cinema italiano va a picco al box office. Questo voleva il Governo giallo-verde?”).
La critica più feroce del comunicato stampa congiunto Anec-Anem-Anica è però in questo passaggio: “La lettura statica di un fenomeno in continua evoluzione non è pertanto coerente con la sua natura, e una visione novecentesca e immutata dal 1934 non può che essere parziale”. Gli industriali bollano Siae di… “visione novecentesca”, loro che sono certamente proiettati nel futuro digitale, anzi post-digitale (soprattutto a livello di sale cinematografiche, la cui qualità media di offerta tecnica e comfort è spesso deprimente).
Va però segnalato che la stessa Siae non ha ignorato la dinamica in atto, ovvero il tentativo di buona parte dell’industria, dato che la Società Italiana Autori Editori scrive che “per la prima volta in Italia, tutto il mondo dell’industria cinematografica si è unito in modo compatto per fare squadra e presentare il cinema come forma di intrattenimento culturale per tutto l’anno. Le aziende di distribuzione garantiranno la distribuzione garantiranno la programmazione di grande cinema spettacolare e di qualità da gennaio a dicembre, senza interruzione con le sale sempre aperte. È un’operazione molto importante che prevede l’uscita in sala di 60 titoli, comprensivi di alcuni blockbuster americani in questi mesi estivi”. Insomma, Siae non disconosce certo lo sforzo, il problema è verificare se il “target” dell’iniziativa “Moviement” – al di là delle belle e condivisibili intenzioni – verrà effettivamente raggiunto. Per ora, gli indicatori evidenziano segnali assai timidi.
La questione è metodologica, ma sostanziale, scientifica ed al contempo politica.
Anzitutto una premessa: è abbastanza paradossale che sia la Siae, ente pubblico atipico (formalmente “ente pubblico economico a base associativa”, ma di fatto non assimilabile a qualsivoglia pubblica amministrazione), a proporre l’unico “dataset” accurato e validato in materia di economia dello spettacolo in Italia.
L’“Annuario dello Spettacolo” della Siae è realizzato da una struttura della Siae, l’Osservatorio dello Spettacolo, che svolge ormai una sorta di impropria funzione di supplenza, rispetto ad una omonima struttura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ovvero l’Osservatorio dello Spettacolo del Mibac, istituito nel lontano 1985 dalla benemerita “legge madre” sullo spettacolo (nota anche come “legge Lagorio”, dal nome del socialista Lello Lagorio, che ne fu promotore). Questa struttura del Mibac dovrebbe fornire un quadro completo sia del settore “spettacolo” in Italia, nella sua economia complessiva sia specificamente rispetto all’intervento della mano pubblica, ma l’Osservatorio Mibac è stato depotenziato e definanziato nel corso dei decenni, ed è attualmente poco più di una scatola vuota. La “Relazione annuale” al Parlamento sulla situazione dello spettacolo e del Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo) è divenuta però nel corso del tempo un documento sempre più evanescente, e peraltro viene resa pubblica con ritardi estremi: l’ultima, nel dicembre del 2018, è relativa all’anno 2017. Questa Relazione, d’altronde, non è mai stata oggetto di pubblica presentazione e di dibattito politico: è una sorta di atto dovuto dell’Amministrazione verso il Parlamento (un documento formale, insomma), ma ci piacerebbe sapere quanti sono i deputati e senatori che la leggono (sfogliano).
Perdura il deficit cognitivo del sistema culturale italiano
E qui si torna – una volta ancora – sulla questione su cui martelliamo da anni, anche su queste colonne: crediamo che sia importante segnalare, lamentare, denunciare, il perdurante enorme deficit cognitivo del sistema della cultura in Italia.
Passano gli anni, e nulla sembra cambiare: qualche mese fa, in occasione di una audizione di fronte al Ministro Alberto Bonisoli, in relazione alla riforma del dicastero, abbiamo segnalato questo deficit (vedi “Key4biz” del 25 marzo 2019, “Mibac, previste 2mila assunzioni entro 2 anni. In anteprima le linee guida del ministero”). Il Ministro ha simpaticamente preso atto, anzi ha riconosciuto che si dovrebbero mettere in atto sforzi per attrezzare il dicastero di una migliore visione strategica, ma nel nuovo regolamento del Mibac nessuna traccia del rafforzamento strutturale del fantasmico Ufficio Studi del Ministero o dell’Osservatorio dello Spettacolo giustappunto.
In questo “deserto di dati” (di dati affidabili), emergono ogni tanto soggetti di varia natura (da Symbola a Federculture), che cercano di mettere assieme un po’ di dati (non validati, disorganici, frammentari), e li strumentalizzano per rafforzare la propria identità di lobby: il caso di Symbola è idealtipico, leggendo i rapporti della fondazione di Ermete Realacci sembra sempre che tutto vada per il meglio, in termini di occupazione, impresa, innovazione, etc. Approccio critico tendente a zero, approfondimento di analisi latitante, ottimismo a gogò.
A Siae, si può forse contestare che il “format” del tomo dell’“Annuario dello Spettacolo” richiede effettivamente una radicale revisione in termini di impostazione editoriale e di layout grafico, dato che il tomo sembra ignorare completamente che da alcuni anni esiste una specifica scienza, l’“infografica”, ovvero le tecniche per rappresentare in modo efficace le informazioni numeriche: la grafica al servizio della statistica ed in generale delle scienze sociali. Ma la Siae sembra un po’ come il Censis: il format grafico del “Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese” dell’istituto di ricerca fondato da Giuseppe De Rita è immutato nei secoli, e denuncia una qual certa vetustà di impostazione. Da apprezzare invece la buona capacità di rappresentazione “infografica” proposta nelle schede di sintesi dell’“Annuario” Siae, che ci si augura venga estesa alla prossima edizione.
L’esigenza di svecchiamento dell’impostazione e di modernizzazione della rappresentazione iconica dell’Annuario è urgente, ma non si può contestare a Siae l’indubbia utilità dello strumento “Annuario”. Soprattutto perché si tratta di dati certificati, finanche fiscalmente validati. È anche vero che il concetto stesso di “spettacolo” dovrebbe essere sottoposto a revisione semantica ed è un peccato che Siae non dedichi attenzione, nel suo tomo, all’economia stessa del diritto d’autore, ed a come forme nuove ed altre di “spettacolo” viaggino ormai su altri media, al di là di quello fisico degli spazi tradizionali adibiti ad attività “spettacolistiche” (come s’usa ancora dire, in alcuni contesti, con linguaggio ottocentesco ovvero novecentesco). L’“Annuario dello Spettacolo” dovrebbe estendere il proprio perimetro di interesse, affrontando a muso duro la “disrumption” del digitale, che sta scardinando le forme tradizionali di spettacolo (e le stesse “forme della cultura”).
Un tentativo di approccio sistemico (tra il tradizionale ed il digitale), timido ma apprezzabile, è stato condotto da Siae, con il progetto “Italia creativa. L’industria culturale e creativa in Italia”, ma, dopo le prime due edizioni (ultima quella del 2017), è stato purtroppo inspiegabilmente congelato. Andrebbe invece ripreso e rilanciato alla grande. Peraltro, l’enorme dataset di cui dispone Siae potrebbe consentire anche elaborazioni molto evolute ed assai raffinate rispetto alle difformità dei consumi di spettacolo a livello territoriale, consentendo di fornire indicazioni strategiche anche rispetto alle politiche culturali delle singole Regioni.
Mogol (Siae): “basta arricchire i colossi del web”. Lattanzio (M5S): “una nuova legge sul diritto d’autore”
La pubblicazione Siae (238 pagine in quadricromia, formato A4, carta ad alta grammatura) è stata presentata mercoledì 10 a Roma, nella bella e panoramica sede di Civita che si affaccia sul Foro Romano, anfitrione il Presidente Civita Gianni Letta, con interventi del Presidente Giulio Rapetti alias Mogol, del Vice Presidente Salvo Nastasi e del Direttore Generale Gaetano Blandini. Del Presidente, dal tono sempre moderato ma dai contenuti chiari e tondi, piace qui segnalare la sua rinnovata critica verso i giganti del web, che contribuiscono paradossalmente al depauperamento dell’occupazione nel settore culturale ed artistico: “è incredibile che si faccia la carità alle piattaforme miliardarie del web, basta arricchire i colossi web, che non vogliono pagare il diritto d’autore”. Il Vice Presidente ha invece ricordato che “i dati contenuti nell’Annuario dello Spettacolo hanno carattere censuario e non campionario, con uno scarto vicino allo 0 %; fotografano e descrivono il passato ma offrono gli strumenti, attraverso una attenta analisi, di individuare le tendenze future, mettendo in condizione di governarle”.
È stata coinvolta nella presentazione anche Alessandra Ghisleri, Direttrice di Euromedia Research, frequentatrice dei salotti televisivi, ma – è opportuno rimarcare – sondaggista di professione, e certamente non sociologa…
Sarebbe invece interessante proporre un dibattito di approfondita analisi dei dati Siae, coinvolgendo accademici ed esperti, sociologi ma anche economisti della cultura, e finanche psicologi, perché l’evoluzione dei consumi mediali e culturali merita una lettura transdisciplinare. Ed in Italia questa materia non è ancora stata sviluppata con metodo e cura.
E perché non approfittare dell’Annuario Siae per un dibattito esteso a tutti i “player” del settore, una giornata di confronto approfondito, tecnico e politico e culturale al contempo?!
Sono intervenuti anche due esponenti della maggioranza giallo-verde: il leghista Alessandro Morelli, promotore della annunciata proposta di legge per le quote obbligatorie a favore della musica italiana (il cui iter sembra però congelato), ed il grillino Paolo Lattanzio, capogruppo del M5S in Commissione Cultura, che ha annunciato la imminente presentazione formale, insieme alla collega Alessandra Carbonaro, di una proposta di riforma dell’economia del diritto d’autore in Italia. Sarà interessante comprendere la posizione del Movimento 5 Stelle su questa tematica, dato che storicamente ha spesso visto nella Siae il baluardo della conservazione: auguriamoci che non ci sia un’ennesima illusione sui poteri miracolistici della rete libera e bella e del salvifico “libero” mercato (su queste tematiche, si rimanda a “Key4biz” del 14 marzo, “Direttiva Copyright, la Siae ‘fa pace’ con Soundreef e attacca gli Ott: ‘La vostra è una non libertà’”).
Nasometria versus tecnicalità
In prima fila l’ex Ministro piddino Dario Franceschini, che, a proposito della certificazione della crisi del consumo in sala, ha rivendicato gli effetti benefici delle sue iniziative per il biglietto cinematografico scontato, ed ha auspicato che iniziative promozionali di quel tipo possano essere riattivate: l’ex titolare del Mibac ha però omesso di ricordare che non esisteva esattamente unanimità nell’apprezzare l’intervento, da parte degli esercenti cinematografici, che anzi hanno anche accusato il Ministero di “svalutare” il prezzo del biglietto ovvero il valore della sala cinematografico nell’immaginario dei consumatori. Anche in quel caso… sono forse state realizzate valutazioni di impatto sulla misura “cinema a 2 euro”? No, assolutamente no. Nasometria versus tecnicalità: insomma… le solite “Impressioni” (per giocare col titolo di una bella canzone di Mogol-Mussida-Pagani).
D’altronde, il nostro è anche il Paese nel quale il Governo decide di varare un decreto legge che modifica le quote obbligatorie di trasmissione ed investimento nella produzione cinematografica ed audiovisiva, e nessuno reagisce, se non Confindustria Radio Televisioni e – curiosamente – l’Anica, che manifestano il loro plauso (della prima, si capiscono le ragioni; della seconda, un po’ meno): silenzio tombale da parte delle altre associazioni, sia imprenditoriali sia autoriali. Rassegnazione strisciante?! O tutti silenti, in attesa che il Principe di turno apra i cordoni della borsa?! Notoriamente, esiste un collo di bottiglia, alla Direzione Cinema, nel passaggio dalla teoria alla pratica di quei 400 milioni di euro l’anno destinati al cinema ed all’audiovisivo dalla “legge Franceschini”. I danari ci sono, almeno nel bilancio dello Stato, ma tutti (o quasi) gli operatori boccheggiano.
D’altronde… va detto: “chi” può valutare se le quote vigenti prima del decreto legge fossero efficaci e se le nuove sono migliorative?! L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, forse?! No. Anch’essa tace, come su tante altre zone grigie del sistema mediale, e la “Relazione annuale” presentata questa mattina a Montecitorio non aiuta granché a comprendere come funziona realmente in Italia l’economia politica delle industrie dei media e delle telecomunicazioni. Assente completamente, poi, nella Relazione Agcom un approccio di lettura critica della realtà, che unisca il semantico all’economico e ne svegli gli intrecci (struttura / sovrastruttura) come è doveroso fare quando si tratta di cultura, e quindi di media. Confidiamo nell’Autorità che verrà?!
Da cittadini curiosi ed analisti attenti, abbiamo dedicato grande cura ad ascoltare l’annunciata audizione del Ministro Alberto Bonisoli di fronte alle Commissioni Cultura di Camera e Senato (vedi “Key4biz” dell’8 luglio 2019, “Decreto quote Tv – Ott, domani Bonisoli spiega ‘l’urgenza’ di allentare gli obblighi”), martedì 9 luglio. Interventi tutti “low profile”, e molto specifici, e quasi nessuno si è interessato alla parte “cinema” del decreto legge varato dal Consiglio dei Ministri il 28 luglio scorso, come se il problema dei dipendenti delle fondazioni liriche o del “secondary ticket” fossero più importanti. Incredibile ma vero… Unico parlamentare intervenuto con un po’ di passione, e cognizione di causa, ci è parso Federico Mollicone, Capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Cultura della Camera.
L’iniziativa della Siae ha registrato una grande ricaduta mediale: nel pomeriggio di mercoledì decine e decine di dispacci di agenzia (un vero profluvio), e giovedì mattina impressionante una rassegna stampa di centinaia di pagine (e molti accendono i riflettori proprio sulla crisi del cinema: il quotidiano “il Manifesto” titola addirittura “Cinema, botteghino da incubo”).
Il tema della fruizione di cultura interessa senza dubbio i media, ed è sintomatico del potenziale di “appeal” che un’analisi critica approfondita ulteriore potrebbe stimolare, all’interno di un dibattito policentrico e plurale, contribuendo in modo ben utile anche all’incerta ed erratica elaborazione normativa.
*Presidente IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale
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