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Agcom, i sette anni che non sconvolsero il mondo

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Il presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Cardani ha presentato ieri la relazione annuale del 2019. In verità, si è trattato di un compendio dell’attività del settennato di vigenza dell’attuale consiliatura dell’Agcom. Che scade in queste ore, dopo alti e bassi che rendono incerto un giudizio finale: non tanto positivo, salvo il fatto che – dati certi nomi circolanti per la successione- la compagine uscente potrebbe persino in futuro essere rimpianta. Chissà.
Cardani, persona peraltro cortese e tuttavia a disagio nell’età acre del conflitto della e nella società dell’informazione, ha dato il senso di un eccesso di timidezza, quasi una resa. Sono ben lontani i tempi dello sviluppo gioioso delle telecomunicazioni e della rete, quando si pensava che la partecipazione democratica potesse trarre vantaggio dall’innovazione tecnologica con rapporti umani socializzati. La stagione odierna è tutt’altro: mercimonio inaudito dei dati e dei profili delle persone, sorveglianza di massa, dittatura degli algoritmi. La relazione mette a fuoco diversi problemi, ma il bilancio operativo non è particolarmente ricco. Il limite dell’Autorità, infatti, sta proprio nelle sue omissioni. A parte la doverosa attività regolamentare legata in molti casi all’armonizzazione con il contesto normativo europeo (meno male, in epoca di sovranismi), i risultati concreti del settennato non risultano trascendentali. E’ vero che il numero degli atti e delle delibere è copioso. E’ vero anche che vi è stata una rilevante iniziativa sul settore postale con una buona cornice impressa alla concorrenza.Come pure si è manifestata attenzione ai consumatori e alla cittadinanza digitale. O alla radiofonia. E, però, l’Agcom è mancata proprio nel cuore dei poteri previsti dalla legge che la istituì nel 1997, la n.249. In particolare, ha sbandato sui temi cruciali sintetizzati dall’articolo 21 della Costituzione: la difesa attiva del pluralismo e della libertà di informazione.Così, nulla è stato chiarito sulla delicata questione della separazione della rete di Tim-Telecom, su cui si sta giocando una partita strategica monca: il “pubblico” vorrebbe rimettere becco sull’infrastruttura e rimane silente o ambiguo sulle modalità. Si capisce solo che l’Italia continua ad essere arretrata nella diffusione della banda larga e ultralarga, senza -però- una vera visione sul che fare.
Un buco nero, poi, è la perpetuazione dello scandalo delle concentrazioni televisive: misure deboli o assenti, mentre si assiste su di un territorio disabituato alle regole alla conquista del mercato pubblicitario da parte degli Over The Top. Va sottolineata, anzi, la complessiva gracilità rispetto ai settori editoriali, con l’eccezione del buon documento su Radio radicale. All’Agcom sembra poco interessare, ad esempio, che i tagli previsti del fondo per il pluralismo porteranno a chiusure di testate e licenziamenti numerosi.
Cardani evoca tra le conquiste il regolamento sul copyright, ormai da riscrivere dopo la direttiva europea. E alza il vessillo della generazione 5G, senza un cenno ai rischi per la salute dell’invasivo inquinamento elettromagnetico.
Una parola amara, infine, sulla par condicio, al di là della positiva istituzione del “Tavolo sulle piattaforme digitali”. Qui, purtroppo, l’autorità garante non ha garantito un bel nulla.


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