Un altro contributo alla ricostruzione della vicenda in esame, difficilmente compatibile con tutti quelli sopra analizzati, veniva fornito con la deposizione (in parte già anticipata) di Francesco Paolo Maggi, Sovrintendente della Polizia di Stato, in servizio alla Squadra Mobile di Palermo.
Il poliziotto era uno dei primissimi rappresentanti delle forze dell’ordine ad intervenire in via D’Amelio ed arrivava sul posto, con il funzionario di turno (dottor Fassari della Sezione Omicidi), con l’automobile di servizio (fondendone il motore), appena una decina di minuti dopo la deflagrazione.
Al momento del suo arrivo, il poliziotto notava l’Agente Antonio Vullo, unico superstite fra gli appartenenti alla scorta del dottor Paolo Borsellino, in evidente stato di shock, seduto sul marciapiede, con il capo fra le mani. Il poliziotto, dunque, confidando di poter trovare qualcun altro ancora in vita, si faceva strada fra i rottami, entrando nella densa colonna di fumo che avvolgeva i relitti, mettendo un panno bagnato sul naso. Purtroppo, era subito evidente che non c’era più nulla da fare, né per il Magistrato, né per gli altri colleghi della scorta: i corpi, infatti, erano tutti carbonizzati ed orrendamente mutilati. I resti del dottor Paolo Borsellino erano riconoscibili solo dai tratti somatici del viso e dai baffi. I resti di Claudio Traina erano finiti addirittura sull’albero rampicante che si trovava all’ingresso dello stabile di via D’Amelio, mentre Eddie Walter Cosina era carbonizzato dentro l’automobile. I resti di Emanuela Loi erano riconoscibili unicamente per un seno rimasto intatto, mentre i resti delle altre due vittime della Polizia di Stato, vale a dire Agostino Catalano e Vincenzo Li Muli erano irriconoscibili.
Il Sovrintendente Maggi si metteva alla ricerca di eventuali tracce o reperti, anche scavalcando un muretto di recinzione posto alla fine (del lato chiuso) della via D’Amelio. Nel frattempo, le ambulanze prestavano i soccorsi ai feriti ed i Vigili del Fuoco spegnevano i focolai d’incendio. Uno di questi interessava proprio la Croma blindata del Magistrato.
Mentre si diradava il fumo, si potevano notare quattro o cinque persone, vestite tutte uguali, in giacca e cravatta, che si aggiravano nello scenario della strage, anche nei pressi della predetta blindata: si trattava, a dire del teste (come già anticipato nel precedente paragrafo), di appartenenti ai Servizi Segreti, alcuni dei quali conosciuti di vista da Maggi e già notati a Palermo, presso gli uffici del Dirigente della Squadra Mobile, anche in occasione delle indagini sulla strage di Capaci (come detto, la circostanza, prima della deposizione dibattimentale era assolutamente inedita, nonostante le diverse audizioni precedenti del teste, in fase d’indagine preliminare).
Un vigile del fuoco, non meglio identificato (dell’età di circa quarant’anni), seguendo le disposizioni di Maggi, spegneva il focolaio d’incendio che interessava la Fiat Croma blindata, che aveva già lo sportello posteriore sinistro aperto. Il fuoco cominciava ad attingere anche la borsa che era all’interno dell’abitacolo, in posizione inclinata, fra il sedile anteriore del passeggero e quello posteriore. La borsa, bruciacchiata ma integra, veniva prelevata (quasi sicuramente) dal predetto vigile del fuoco, che la passava a Maggi. Nei pressi non vi era il dottor Giuseppe Ayala (pure notato e riconosciuto dal teste, prima di allontanarsi dalla via D’Amelio). Il poliziotto poteva constatare che la borsa era piena, anche se non ne controllava il contenuto all’interno. Maggi consegnava la borsa al proprio superiore gerarchico, rimasto all’inizio della Via D’Amelio (lato via Dell’Autonomia Siciliana) a comunicare, via radio, con gli altri funzionari. Quest’ultimo funzionario (trattasi del menzionato dottor Fassari della Sezione Omicidi) teneva la borsa del Magistrato fino a quando, ad un certo punto, rivedendo il sottoposto, gli ordinava di portarla subito negli uffici della Squadra Mobile (“Ancora qua sei? -dice- Piglia ‘sta borsa e portala alla Mobile”). Così faceva il Maggi, che la portava dentro l’ufficio del dottor Arnaldo La Barbera (dove entrava con l’aiuto dell’autista del dirigente), lasciandola sul divano dell’ufficio… Da mafie