Il governo non rispetta gli impegni per Ilva e risanamento ambientale. Rischio rottura con Arcelor Mittal. A rischio migliaia di posti di lavoro. Venturi (Fiom Cgil), subito convocazione tavolo al Mise
Di Alessandro Cardulli
Giggetto Di Maio non se la sente di tornare a Taranto da solo dopo le tante promesse avanzate in campagna elettorale e non mantenute mentre il rapporto fra il governo, nella persona appunto del vice premier, ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, e il colosso dell’Acciaio, Arcelor Mittal, titolare del grande e contestato impianto si va sempre più deteriorando. A conclusione della “visita” del ministro accompagnato dagli altri ministri grillini, non se la sentiva di andarci da solo, i sindacati che hanno partecipato al tavolo istituzionale, ma solo come uditori, senza diritto di parola hanno chiesto al ministro, rende noto la dichiarazione rilasciata da Gianni Venturi segretario nazionale Fiom Cgil, responsabile siderurgia, la “convocazione urgente” del tavolo al Mise “per la verifica e il rispetto degli impegni previsti nell’accordo del 6 settembre 2018”.
Una partita complessa e complicata con i titolari del grande gruppo dell’acciaio
Si gioca una partita complessa e complicata con i titolari del grande gruppo che rivendicano l’immunità penale e amministrativa in relazione ai procedimenti in corso per quanto riguarda la salute ambientale, le nubi tossiche che dal grande impianto si diffondono sulla città e non solo sulle zone circostanti l’area siderurgica. Immunità che gli era stata garantita. Il Di Maio aveva confermato però che l’immunità era scaduta e che occorreva procedere con il piano B, una strada che si concludeva, oggettivamente con la chiusura dello stabilimento di Taranto. Oppure era un modo per mettere sotto pressione Arcelor Mittal. Diversificazione produttiva, zona economica speciale, un progetto, piano A che ne tira altri, il futuro dell’Ilva appunto, questione nazionale di politica industriale. Ilva non è solo Taranto, in ballo ci sono 15 mila lavoratori, l’indotto, ci sono anche gli impianti di Genova e Novi ligure, senza Taranto non funzionano, c’è il grande affare dell’acciaio, ci sono 2,4 miliardi di euro investiti da Mittal, unico che ha scommesso sull’Ilva. Di Maio, già in grande difficoltà all’interno dei pentastellati, se perde anche la partita Taranto, può dedicarsi ad altre attività, magari al giardinaggio, lunghe passeggiate in un parco desertificato, da persone e cose. Ilva sta diventando sempre più questione nazionale e il vicepremier si è presentato a Taranto con mezzo governo, tutti sono grillini, con i soldi già previsti, idee del passato che non hanno fatto un passo avanti, invece di chiarezza uno strappo nei confronti di Arcelor Mittal.
I leghisti attaccano il vicepremier stellato: se Mittal va via è una tragedia
Con il vicepremier c’è la ministra per il Sud Barbara Lezzi, quella della Difesa Elisabetta Trenta, Sergio Costa, titolare dell’Ambiente, e poi ancora la titolare della Salute Giulia Grillo e Alberto Bonisoli, responsabile dei Beni culturali. Si tratta di un check del Contratto istituzionale di sviluppo per la città, lo strumento creato nel dicembre 2015 dal governo Renzi per gestire il rilancio a seguito della crisi dell’Ilva. Dentro questo contenitore, che è legge dello Stato, c’è un miliardo. Sono i soldi degli altri: passati da Renzi a Gentiloni e poi al Governo gialloverde. In prefettura, dove è convocato un tavolo con le istituzioni locali, viene fatto il punto della situazione, con un aggiornamento delle spese già programmate appunto da altri. C’era 1 miliardo nel 2015, c’è 1 miliardo oggi. Si parla di un impegno di 700 milioni. Entro settembre ci saranno 500 milioni che saranno assegnati ai progetti in campo. I 5 stelle hanno dovuto costatare, malgrado gli impegni elettorali che non c’erano alternative alla necessità dello stabilimento di andare avanti, ponendo determinate condizioni e impegni per quanto riguarda gli interventi di risanamento ambientale. Il 23 agosto dell’anno scorso Di Maio parlò di “un delitto perfetto commesso dallo Stato”, responsabile secondo M5S di aver regalato l’Ilva a Mittal. La gara veniva ritenuta “illegittima” ma poteva andare avanti. Così i pentastellati si trovarono in pace con la propria coscienza. Tutti i controlli erano stati fatti, addirittura era stata contestata l’assegnazione a Arcelor Mittal, ma bisognava andare avanti per tutelare il lavoro e rilanciare l’Ilva, dettando le condizioni ed eliminando in primo luogo l’immunità penale e amministrativa sollevando le proteste di Arcelor Mittal. Non solo, la Lega, l’azionista forte del governo gialloverde, come dicono a Taranto, non vuol sentir parlare di una possibile uscita di Arcelor. Dice il sottosegretario leghista ai trasporti Edoardo Rixi, interivistato da Huffpost: “Se Mittal va via per noi è una tragedia anche perché ha fatto più Mittal in sei mesi che lo Stato in anni di gestione”. E Mittal pare voglia insistere sulla immunità. I patti sottoscritti devono essere rispettati. Sempre Rixi dice: “Ora è Di Maio che deve capire cosa fare perché così si rischia di fare dei passi indietro e noi siamo molto preoccupati per la preoccupazione espressa da Mittal, ma anche dai sindacati, dalle istituzioni locali e dai lavoratori. C’è stato un anno di tempo per capire quale poteva essere la soluzione migliore”.
Vietato alle associazioni dei tarantini di prendere la parola. I sindacati solo uditori
Da notare che le associazioni dei tarantini che sono state protagoniste di tante iniziative non hanno potuto incontrare il ministro, né prendere la parola. Una mail del capo gabinetto del Mise ha informato i richiedenti che oggi non ci sarebbe stato nessun incontro. Anche i sindacati hanno potuto seguire la riunione facendo parte del tavolo istituzionale convocato in seduta permanente in qualità di uditori, senza diritto di interlocuzione. Un segnale, se ce ne fosse ancora bisogno, della debolezza dell’iniziativa del vicepremier DI Maio. Tanto che immediata, come abbiamo detto all’inizio dell’articolo, è arrivata la richiesta da parte dei sindacati di una “convocazione urgente” del tavolo al Mise “per la verifica e il rispetto degli impegni previsti nell’accordo del 6 settembre 2018”, come dichiara Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom Cgil, responsabile siderurgia. Dice che Di Maio “conferma la scelta del Governo per un processo di bonifica, diversificazione e riconversione economica del territorio. Si tratta di una serie di impegni già previsti dal contratto di programma e su cui è difficile non concordare, va segnalato semmai il ritardo dell’avvio di questo processo”. Per la Fiom – prosegue – “il rischio non è la diversificazione delle produzioni sul territorio di Taranto, ma il pericolo è che la diversificazione possa in qualche modo coincidere con la desertificazione industriale. Non crediamo sia un caso che all’esterno del tavolo istituzionale tutta l’attenzione si sia catalizzata sulle vicende del DL Crescita, dalle disposizioni sulle immunità penali e sulle nuove incertezze delle prospettive industriali, occupazionali ed ambientali dello stabilimento di Taranto e di tutto il gruppo ArcelorMittal, a partire dalla condizione dei 1700 lavoratori in cassa integrazione straordinaria a cui si aggiungono i 1400 in cigo. Come è stato anche in queste ore ribadito, ai destini dello stabilimento di Taranto sono inevitabilmente legati anche le sorti più generali degli altri siti del gruppo, del settore siderurgico del Paese e del suo peso rispetto allo specifico contributo al Pil”. Infine vogliamo concludere con una “perla” tratta dalla dichiarazione del Di Maio. Dice il vicepremier che “chiede che l’azienda spieghi l’annuncio di Cigs per 1400 lavoratori”. Ci domandiamo, ma non è lui il ministro cui si rivolge chi fa domanda di Cigs? Forse è venuto meno all’impegno preso dal governo sulla immunità? Dice il Di Maio che “era giusto farlo”. Forse il Giggetto è un po’ confuso. Perché risponde a se stesso. Se sul “piano ambientale” continua a dimostrare il mantenimento degli impegni non ha nulla da temere. Allora se sta mantenendo gli impegni che bisogno c’era di far venir meno l’immunità? Non solo, per la questione delle bonifiche lo stesso ministro afferma che “ci sarà un tavolo ad hoc. Ma si deve procedere con grande velocità”. Non a caso il segretario nazionale della Fiom parla di “ritardo nell’avviare il progetto”.