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“E’ stato il vento”. Libro di Left su Mimmo Lucano

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Introduzione a cura di Mimmo Rizzuti, comitato Riace premio Nobel per la pace 2019

Nell’estate del 2018 la vicenda di Riace è uscita in maniera dirompente dagli argini di un’esperienza, pur esemplare, di accoglienza umanitaria, inclusione e rivitalizzazione di un paese in progressivo abbandono per diventare, con il suo ideatore e tenace costruttore, Mimmo Lucano, il simbolo di un’altra umanità. 

Questo libro offertoci dalla felice scelta editoriale di Left, costantemente impegnata con convinzione a sostegno di quell’esperienza, ci dà l’opportunità di rivedere il film di quest’ultimo travagliato ma esaltante anno, nelle sue diverse sequenze che iniziano con le ispezioni ministeriali del 2016/17 cui seguono le contestazioni sugli errori formali della rendicontazione, l’attacco politico, già partito sotto il governo Pd nel periodo di transizione da Renzi a Gentiloni e diventato virulento dopo l’arrivo della Lega a Palazzo Chigi e di Salvini al Viminale, l’attacco giudiziario costruito su una montagna di imputazioni sgretolate prima dal Gip e poi dalla Cassazione e, per ultimo, dal Tar di Reggio Calabria, il blocco della messa in onda della fiction Rai con Beppe Fiorello Tutto il Mondo è Paese, l’arresto prima e l’esilio poi di Lucano, il blocco totale dei fondi ministeriali, la decisione del Viminale di escludere Riace dal sistema Sprar (il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che il 21 maggio è stata annullata dal Tar reggino in quanto illegittima. E di contro l’incontenibile ondata di solidarietà, anche materiale che ha consentito alla sottoscrizione a sostegno, lanciata da Recosol (Rete dei comuni solidali) di raggiungere cifre impensabili e di fare, in parte, fronte alle emergenze più impellenti, in questa tormentatissima fase. Ed ancora il fiorire di una vasta letteratura che ne analizza nascita per corso e a seguire la creazione e la nascita della Fondazione È stato il vento, già all’opera per far ripartire la macchina dell’accoglienza volontaria, del turismo solidale, dell’attività delle botteghe e di tutti progetti e attività che hanno dato corpo ad un’esperienza diventata paradigmatica. 

Ormai di Riace e di Mimmo Lucano si conosce tutto ed io non riprenderò i tanti passaggi, già presenti nella fiorente letteratura sul caso e che troveremo in questo libro che diventa un contributo importante per cogliere il nesso tra il modello Riace, l’ampiezza e la profondità del suo respiro

ideale e culturale. Una dimensione, in tema di accoglienza, inclusione, diritti, che ne ha fatto un prototipo di risposta alla crisi, alle ansie che attraversano le popolazioni in tutto il mondo, ai sogni e alla volontà di lotta delle giovanissime generazioni per la salvezza del Pianeta. E lo connette strettamente alla proposta di «un patto sociale mondiale tra tutti gli abitanti della Terra» lanciato lo 

scorso dicembre dall’Agorà degli abitanti della terra a Sezano (Verona) ed ai temi affrontati con grande capacità analitica e di proposta da Riccardo Petrella nel suo libro In nome dell’Umanità.

Visto in questa chiave si comprende meglio l’attacco concentrico a Riace. Il modello Riace esprime una visione ed un protagonismo per una Nuova umanità, riconosciuto ed apprezzato in tanta parte del mondo e si pone in piena consonanza con la lotta contro gli inquinamenti, per la difesa del pianeta e l’arresto delle pratiche che stanno sconvolgendo il clima e la vita sulla terra e con la dirompente potenza degli scioperi mondiali del movimento femminista per la parità di genere. 

Il tratto che unisce queste tre diverse esperienze in movimento, in un momento di ripiegamento a forte torsione individualistica quale quello che viviamo, è dato dalla grande partecipazione spontanea che si attiva ad ogni iniziativa su questi temi, che mettono in discussione il paradigma portante di un sistema ritenuto unico, indiscutibile ed inattaccabile. Naturale. Una partecipazione collettiva che esprime una grande esigenza di alternativa al modello economico e di “sviluppo” dominante. Un modello che, improntato, come noto, ai principi dell’individualismo più sfrenato e

della competitività selvaggia, in cui l’economia, svuotata dalla componente umana ed in mano a gruppi predatori sempre più ristretti affidata agli algoritmi, che diventa fine a se stessa, sarebbe un portato della natura. Quindi indiscutibile ed immodificabile, troppo più grande di ogni azione umana sia personale che collettiva. «L’egoismo, la competitività la violenza e la guerra, sarebbero 

schemi comportamentali inscritti dentro ognuno di noi, che emergono naturalmente». Il mondo è così perché è un portato della natura umana, alla quale vengono addebitate così le più grandi brutture e atrocità di questa e di ogni altra epoca. Povertà, guerra, deforestazioni, inquinamenti,

saccheggio del pianeta, riduzione a merce e in schiavitù di tanta parte degli esseri umani. A ciò si aggiungono, ci ricorda Petrella nel testo citato, altre due elementi. Il primo, per il quale i fenomeni sopra enunciati sono ritenuti figli di un sistema organico gigantesco ed intangibile. Il secondo che consiste nell’assenza dalla scena dell’umanità. Per umanità, scrive Petrella, «intendiamo gli individui che attraverso la loro coscienza si rendono conto che la loro esistenza è qualcosa di determinante e che le loro azioni possono fare la differenza. L’umanità nasce da sentimenti profondi quali la solidarietà, la fratellanza, il rispetto reciproco. L’umanità agisce e pensa secondo il senso di una parola chiave che nella lingua bantu è Ubuntu». Cioè «una persona consapevole di essere legata agli altri e che, in altri linguaggi, esprime» benevolenza verso gli altri. «Tutto questo riferirsi agli altri, al costruire insieme una realtà sociale aperta e volta al futuro  ricorda ancora Petrella  differenzia l’umanità dal la specie umana, intesa come animale che esiste e basta, che non si interroga, non spinge la sua consapevolezza oltre». Questa umanità è priva di rappresentanza. Gli organismi sovranazionali a cominciare dall’Onu sono espressione degli stati nazione che antepongono il loro interesse a qualsiasi altra finalità. E siccome gli stati nazionali sono diventati

progressivamente e di fatto, sempre più struttura servente dell’economia finanziaria globale con la connotazione sopra richiamata, si muovono nell’ottica assolutamente prioritaria di tutela del sistema dominante. 

L’assenza di protagonismo dell’umanità è figlia dell’enorme vuoto lasciato dal fallimento della democrazia e dal progressivo sgretolamento del welfare state. Fenomeni che hanno generato nuove inquietudini e paure e un rifiuto sempre più vasto della società plurale e multietnica. Si può rispondere a questo scenario paralizzante? Come? Con quali mezzi e con chi? E cosa c’entrano un sindaco sognatore e un minuscolo paese della Calabria jonica che spontaneamente, com’è nella tradizione delle popolazioni di quella terra, agendo nel senso dell’umanità sopra richiamato, hanno accolto e incluso nel tessuto sociale e territoriale di un borgo in via di desertificazione prima e dopo la creazione dello Sprar, nei limiti delle loro possibilità, ben oltre nei momenti di emergenza, tantissime persone disperate in fuga da tragedie immani? La risposta sembra chiara e comprensibile.

E tutte e tre queste esperienze, ognuna nella propria dimensione e differenza, l’hanno data in maniera inequivocabile, falsificando nei fatti i presupposti teorici sui quali si regge questo sistema. E cioè la naturalità e l’intangibilità del sistema e la rassegnazione dell’umanità alle sue logiche. Mimmo Lucano, in questa logica, al di là di ogni sua proposizione, come lui stesso sempre ci ricorda, ha dato vita ad un modello che ha mostrato contestualmente che esiste un’altra umanità. L’umanità della filosofia ubuntu, come del resto ci ricorda in chiusura di questo libro Pierre Kabeza, e non solo, che può diventare protagonista, rovesciare nell’interesse comune la narrazione dominante e collegarsi agli altri due movimenti legati ad un pensiero forte in grado di dare vita ad una altrettanto forte identità sociale la cui risposta, come mostrano i giovani sul piano della tutela del pianeta e le donne sul piano della parità dei diritti, può arrivare a farsi sentire anche su vasta scala. Questo il motivo non troppo latente e di fondo che ispira l’attacco devastante a Lucano ed a Riace, perché è diventata, pur senza cercarlo e volerlo, il collante per la costruzione di una forte identità sociale a dimensione mondiale, in grado di connettersi con i giovanissimi di Greta e con il movimento delle donne e potenzialmente in grado di dare corpo con essi a un Patto sociale mondiale degli abitanti della terra di cui argomenta Petrella, capace di mettere in discussione la narrazione dominante. Ma per dare forma a questo percorso e a questo processo l’umanità dovrà ripartire da tutti quei punti in cui la nostra epoca sta fallendo. 

Riformulare le idee di progresso, partendo da quattro grandi capisaldi necessari per promuovere unità e pace: i diritti umani più e più volte calpesti in ogni latitudine, i beni pubblici comuni, la democrazia, l’uguaglianza di tutti gli esseri umani. Sogno e utopia? Certo. E di questo sogno e utopia e del patto sociale tra gli abitanti della terra la Riace di Lucano è diventa il prototipo più evidente. C’è molto di più di quanto basta per tentare di abbatterlo con ogni mezzo.


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