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La rotta “invisibile”: a Trieste sempre più migranti dai Balcani

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La denuncia nel report di Ics e Caritas. A mancare sono i posti immediatamente disponibili per la prima accoglienza. Preoccupano i tagli del Viminale e il rischio di perdita di posti di lavoro

ROMA –  Sono aumentati nel 2018, e nel corso del 2019, gli arrivi di migranti e richiedenti asilo a Trieste, dalla rotta via terra dei Balcani. Un flusso che continua, invisibile e meno raccontato, con una media di presenze mensili che si attesta intorno ai 1000/1200. E che sta creando una situazione non certo emergenziale, ma di rilevante pressione sul locale sistema di accoglienza, dovuta al sottodimensionamento per ciò che riguarda la prima accoglienza. A fotografare la situazione è il report sull’accoglienza a Trieste, presentato da Ics e Caritas italiana.

A mancare, spiega il rapporto, sono posti immediatamente disponibili seppure per brevi periodi. Le conseguenze critiche di tale sottodimensionamento vengono calmierate (ma non eliminate) da un lavoro incessante fatto dagli enti di accoglienza e dalla Prefettura di Trieste per organizzare trasferimenti di richiedenti asilo in altre località della Regione e nel resto del territorio nazionale con cadenza almeno settimanale nell’arco di tutto l’anno. Si tratta di una situazione che mette sotto costante pressione (anche in termini di risorse umane) in particolare la struttura di “Casa Malala”, divenuta in larga misura una struttura di transito. “Abbiamo sempre più persone di quanti sono i posti disponibili in accoglienza. Ciò è dovuto al forte aumento di arrivi verificati nel corso del 2018, confermati nei primi mesi del 2019 – sottolinea Gianfranco Schiavone, presidente di Ics -. Se un aumento c’è, però, non siamo in una situazione emergenziale. Per questo motivo non vogliamo aumentare i posti ‘ordinari’ dell’accoglienza, anche perché non si riuscirebbe a garantire l’inclusione sociale degli accolti. C’è invece bisogno di un’attenzione maggiore per garantire la prima accoglienza e i trasferimenti verso altre città meno esposte agli arrivi”. I migranti che arrivano dalla rotta balcanica, e che provengono soprattutto da Afghanistan, Pakistan e Iraq, sono giovani: una popolazione, composta per un terzo da nuclei familiari: “E’ un’enorme ricchezza sociale – continua Schiavone – specie per un Paese che invecchia rapidamente e nel quale la forbice tra popolazione attiva e non attiva sta diventando drammatica”.

A preoccupare sono, in particolare, i tagli all’accoglienza, dovuti alle scelte del Viminale e il rischio della perdita di posti di lavoro: “I tagli sono netti e insensati. Dove mettiamo le persone? Chi le seguirà? La politica non dà risposte e dà invece informazioni demagogiche. In tal modo non ci sarà un risparmio ma si creerà disagio, perché le persone non spariranno nel nulla e continueranno a esserci”. Un dato particolarmente grave – secondo le organizzazioni – è l’annullamento, con il nuovo bando, di tutte le attività di integrazione sociale e di formazione. Il risultato è che si avranno “centri-pollaio, possibilmente di enormi dimensioni, dove “parcheggiare” le persone, producendo tensione sociale”. Le conseguenze saranno gravi anche a livello occupazionale: “sono 278 i dipendenti che rischiano il posto di lavoro, la gran parte dei quali (241) hanno contratti a tempo indeterminato”. Schiavone precisa, che se la richiesta è di fare i “guardiani del pollaio”, snaturando completamente la natura dell’accoglienza, “non saremo noi a farlo”. “Al momento questa città, relativamente alla presenza di rifugiati, non ha problemi di ordine pubblico – aggiunge Don Amodeo della Caritas -. Trieste è un modello civile e pacifico di convivenza, con appartamenti dislocati in tutta la città che permettono il contatto degli accolti col resto della cittadinanza”.

Infine, l’associazione dei medici volontari Don Kisciotte che ha curato la parte relativa alla salute della prima accoglienza parla di segni di violenza sul corpo dei migranti che arrivano.  “Il tipo di disturbo è quello caratteristico di una popolazione che ha avuto un periodo recente in cui è stato sottoposto a stress fisico e psichico. Non si registrano rilevanti patologie infettive. In sostanza si tratta di persone in salute -spiega Andrea Collareta. “Si registrano però molti casi di violenza subita nel viaggio – aggiunge Schiavone – . Si tratta di persone ferite, talvolta con arma da fuoco, anche minori. Le violenze si verificano soprattutto in Croazia al confine con la Bosnia Erzegovina, e sono compiute sia dalla polizia che dalle bande, come testimonia anche un recente rapporto curato da Amnesty International. Trieste è il primo luogo sicuro nel quale queste persone arrivano”. (ec)

Da redattoresociale


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