Settantacinque anni da eventi che hanno segnato il corso della Seconda guerra mondiale e i sette decenni successivi, a livello di equilibri politici e di potere globale. Il primo ci riguarda da vicino ed è la liberazione di Roma dal nazi-fascismo. Era il 4 giugno 1944 e la capitale era reduce da nove mesi devastanti, dopo l’Armistizio, la fuga della famiglia reale a Brindisi, la dichiarazione di città aperta, la barbarie compiuta dalle truppe d’occupazione e l’eccidio delle Fosse Ardeatine in seguito all’attentato di via Rasella ad opera dei GAP. Un oceano di sangue, di violenza, di abisso ma anche immense speranze e la grandezza di chi ebbe la forza d’animo di sacrificare finanche la vita inseguendo un ideale di giustizia e libertà. Nove mesi intensi, devastanti, tragici ma, al tempo stesso, esaltanti per le passioni civili che seppero mobilitare e che sarebbero state alla base dei partiti che, di lì a qualche anno, avrebbero innervato il nuovo Stato democratico.
Settantacinque anni e a me tornano in mente i racconti di zio Augusto, il quale tornò a Roma nei giorni della riscossa e rimase felicemente colpito dal fatto che, improvvisamente, i giornali avessero ritrovato il coraggio di esprimere un pluralismo di idee e posizioni che negli anni del regime e del sostanziale monopolio dell’agenzia Stefani sarebbe stato inconcepibile.
Settantacinque anni dallo sbarco alleato in Normandia, con tutto ciò che esso comportò, ed è una buona occasione per riflettere su quanto sia importante, oggi più di ieri, che le due sponde dell’Atlantico tornino ad avvicinarsi e che il dialogo riprenda proficuo e costruttivo, nell’interesse non solo dell’Occidente ma di rapporti planetari messi drammaticamente a repentaglio dall’ottusità di un presidente, Trump, che costituisce un elemento di rottura senza precedenti nelle relazioni internazionali.
Settantacinque anni e celebrazioni, ricordi, analisi, prospettive, costanti riferimenti al quadro storico di allora e di oggi e riflessioni sul nostro futuro.
Mi viene in mente la mano ignota che su un muro della Capitale scrisse: “Annatevene tutti, lasciateci piagne da soli”: riassunse al meglio lo spirito del tempo. Per non dimenticare.
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