BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Venezia e il gatto

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1970. Terrazzo di una palazzina a Santo Janni, periferia di Formia, cittadina laziale. E’ sera avanzata. Non lontano il mare sbrilluccica  ai raggi della Luna. Nel silenzio si sente una vocina:  <No. Ma ci deve entrare; no, ci deve entrare, ma ci deve entrare.> E’ Giorgino,  bambino di quattro o cinque anni, che seduto sul lastrico accarezza con la mano destra la coda dell’amato gatto, Sianuk,mentre con la sinistra impugna un tubo di gomma la cui circonferenza interna appare più stretta della coda. Giorgino  guarda pensieroso il tubo e ripete:<Ma ci deve entrare>.

Questo ricordo di anni tanto lontani mi è tornato in mente ascoltando ieri mattina dire  alla  trasmissione di Rai 3 Tutta la Città Ne Parla  da non so quale autorità veneziana    <Ma ci devono entrare> le grandi navi nella Laguna, perché oltre a salvaguardare Venezia e la sua laguna bisogna pure salvaguardare  la situazione socioeconomica della città!

Appena il giorno  prima, nel Canale della Giudecca,  una nave da crociera lunga 200 metri aveva speronato   un barchino fluviale, fortunatamente non facendo morti ma solo feriti.

Non si offenda quel signore, se mai dovesse leggere queste righe. Il confronto con Giorgino  è calzante, ma non riguarda lui solo. Siamo  migliaia in tutto il mondo, anzi milioni, ma che dico, miliardi i Giorgino  che tutti i giorni infiliamo  la coda del gatto in un tubo più stretto della coda. Siamo  tantissimi  che mettiamo ogni giorno,    in ogni spazio più robe di quanto possano entrarvene.  Siamo quelli  che pretendiamo  di immettere in un sistema finito qual è la Terra una crescita all’infinito e la più impetuosa che ci riesca.  Non   parliamo che di crescita, è la nostra massima preoccupazione.  Tutto deve crescere. Devono crescere il PIL,   la produttività,   la produzione,    gli investimenti,  i consumi ,  gli ordini,  gli scambi. Deve crescere  la ricchezza. Guai se   non cresce! Per crescere ci siamo inventati di tutto: la follia dell’usa  e getta; la obsolescenza programmata, che a ben guardare sembra  simile ad una  truffa  (ti vendono  qualcosa  che è  programmato per non funzionare più il giorno dopo che scade la garanzia);immettono sul mercato  software che non dialogano con quelli esistenti per costringerti a comprare i nuovi anche se i vecchi funzionano ancora benissimo; ti forniscono gratis prodotti al cui uso  è facile abituarsi  e per farteli comprare te li riprendono    quando solo  a  fatica puoi farne a meno.

Crescere è una necessità,   un obbligo, un imperativo.

Te lo spiegano  economisti (per fortuna con qualche eccezione) e imprenditori. Tutti i giorni e più   volte al giorno  i politici    invocano   la crescita o la promettono.

Ma  Il più nel meno non ci sta, l’infinito nel finito neppure, così le grandi navi nella Laguna e la coda del gatto nel tubo, se è troppo stretto. Ma ci   devono entrare.

Nella Terra non c’è più spazio  per crescere ancora. Il pianeta si sta ribellando alla nostra assurda pretesa di  non tener   conto  dei limiti.

Non importa bisogna crescere egualmente.

Non si discute.

Latouche per avere osato  parlare di decrescita è stato persino sbeffeggiato.

Qualcuno di chi  ha qualche consapevolezza che così non si può andare avanti prova a proporre qualcosa di diverso ma, per evitare la medesima sorte, lo dice  senza dirlo.  Propone un  “nuovo” modello di sviluppo oppure uno  sviluppo “sostenibile”. Sviluppo, altra parola magica. Suppongo debba  trattarsi   di   uno sviluppo senza crescita, perché una cosa è certa:  per essere sostenuto dal nostro pianeta  il proposto sviluppo non può avere a che fare con la crescita. Personalmente di uno sviluppo senza crescita non ho idea, ma ciò non vuol dire che non lo si possa inventare. Come si potrebbe  mettere in piedi un sistema economico che non distrugga l’ambiente e sostenga una vita dignitosa di tutta l’umanità. Basterebbe (si fa per dire)   che l’un per mille degli abitanti del mondo non si accaparrasse  da  solo la metà di tutta la ricchezza che esiste.

Ma questo, forse. è quasi come voler mettere la coda del gatto nel tubo. O no?


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