Emiliano di nascita, milanese e pariniano d’adozione, Vittorio Zucconi si era formato nel liceo meneghino che tante polemiche attrasse su di sé per via di un’inchiesta sui apporti fra i giovani e il sesso. Erano gli anni Sessanta, il Sessantotto era alle porte e il desiderio di emancipazione sociale e culturale faceva da sfondo alla formazione di quella generazione educata dai padri del dopoguerra che avevano conosciuto le miserie e gli stenti del fascismo, pronta a recitare un ruolo di primo piano nel cinquant’anni a venire.
Con Zucconi c’era un altro grande del giornalismo italiano, Walter Tobagi, assassinato dalla Brigata XXVIII marzo per la sua condanna senza appello del terrorismo rosso e di ogni forma di violenza e barbarie.
E Zucconi, ancor più di Tobagi, che col tempo si era istituzionalizzato e dato un tono da Corriere della Sera, Zucconi era rimasto ciò che abbiamo ascoltato e letto per decnni: un magnifico rompiscatole, una zanzara svolazzante e sempre pronta a pungere, il ragazzo del Parini che col tempo era arrivato a Washington e aveva girato il mondo, scrivendo su alcuni dei più importanti giornali italiani e inventando e dirigendo Radio Capital, tanto per non farsi mancare una freccia nella sua faretra giornalistica.
Caustico, irriverente, sempre provocatorio, a tratti feroce, non sempre condivisibile, a volte volutamente irritante, istrionico, gentile come un elefante in cristalleria, e non perché fosse maleducato ma per scelta, riusciva tuttavia ad avere anche dei tratti di lirismo, di narrazione sopraffina, di racconto in grande stile, di analisi articolata e complessa della realtà, sempre con uno sguardo globale rivolto sul mondo e con una penna in grado di assecondarne le intuizioni.
Un mezzo genio prestato a questi tempi aridi, uno che non le mandava a dire, che non compiaceva nessun ospite, che riusciva a essere sapido in ogni circostanza, capace di mettere a tacere e addirittura di togliere il microfono ai personaggi più sgraditi e imbarazzanti, inarrivabile nella sua grandezza e nel suo stile senza fronzoli ma, al contempo, poetico, contradditorio proprio come un pariniano di un sognatore che non si era mai lasciato andare al cinismo e che ha lottato fino all’ultimo contro un male che ha vinto una battaglia ma perderà la guerra perché Vittorio resterà comunque con noi.
Ci rimarrà la sua forza d’animo, ci rimarranno le sue idee, anche quelle con le quali eravamo convintamente in disaccordo, ci rimarrà il suo pensiero internazionale e la sua apertura mentale, ci rimarrà la sua forza d’animo e, ovviamente, la sua creatura radiofonica, ricca di fascino e incredibilmente moderna.
Ho scritto questo commento di getto, così come m’è venuto, e anche questo è uno degli insegnamenti di Vittorio, capace di assecondae il suo flusso di coscienza fino a trasformarlo in un’opera d’arte o giù di lì. Poi sorrideva, provvedendo ad accendersi un’ennesima, maledetta Marlboro.
P.S. Dedico questo articolo agli ottant’anni di Franco Iseppi, che per fortuna è ancora fra noi e intende restarci a lungo,
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