Dove la politica alza i muri, la cultura li abbatte. Infallibilmente. Potrà passare del tempo ma alla fine prevale. E’ simile alla natura che quando tenti di contrastarla è la volta che si scatena e travolge ogni argine. Nella storia dell’uomo è stata la cultura a permetterci di sopravvivere attraverso secoli e millenni, tra guerre e distruzioni; dobbiamo ad essa se siamo ancora qui a parlarci e non ci siamo estinti nella memoria. Il pensiero, l’arte, la letteratura, la musica sopravanzano ogni ideologia anche nella capacità di comunicare, si impongono col “passa parola” da un individuo all’altro di ogni razza, colore e latitudine geografica. Ingoieremo i libri se ci sarà bisogno, li immagazzineremo nella scatola cranica come ha raccontato George Orwell, li nasconderemo sotto la giubba, all’altezza del cuore, come quella edizione tascabile della Divina Commedia che i soldati del Risorgimento nascondevano nella tasca interna, all’altezza del cuore. Ricordate “Il Dantino insanguinato?”
Depurando questo prologo da ogni sentimentalità, mi emozionano sempre le trame con cui la cultura si fa strada per venire alla luce, per regalarci una sua scintilla.
Nevio Casadio, giornalista e regista di razza che per nostra fortuna non ha saputo mai decidersi tra i due mestieri passeggiando sulla corda tesa come un funambolo, ci offre un’ennesima dimostrazione di quanto siano fitte le maglie della rete che protegge le opere dell’uomo.
Accade dunque che una signora di una nazione lontana assista in TV a VIVA FELLINI, il docufilm girato da Casadio nel 2013 per il ventennale della morte dell’artista riminese, e ne rimanga estasiata. Percepisce a pelle di avere finalmente intercettato l’autore che, senza esserne lei stessa del tutto consapevole, stava aspettando; e come si usa nel mondo dello spettacolo si rivolge a lui di slancio per partecipargli il proprio entusiasmo:
“Gentile signore, sono israeliana, le scrivo da Gerusalemme, a caldo, dopo aver appena visto sul canale della RAI International, il suo fantastico film su Fellini. Desidero semplicemente dire che sono incantata dal suo film, in tutti sensi. È un capolavoro! Grazie.”
La signora è la moglie di Yuri Ahronovitch, celeberrimo direttore d’orchestra di San Pietroburgo, classe 1932, espatriato a quarant’anni in Israele. In Russia si era diplomato al conservatorio di Leningrado e presto era assurto alla direzione dell’Orchestra Filarmonica di Leningrado, quindi all’Orchestra del Teatro Bolshoi di Mosca. Nel 1964 era stato nominato direttore dell’orchestra sinfonica di Radio Mosca.
Il suo talento si imponeva per legittima autorità, e benché fosse osteggiato dalle gerarchie politiche perché ebreo, e di carattere indipendente, poco ossequioso al potere, veniva chiamato dalle maggiori orchestre delle Repubbliche Sovietiche venendo a contatto con musicisti leggendari, come il violencellista Mstislav Rostropovič, e Ėmil’ Grigor’evič Gilel’s, di Odessa, forse il pianista di maggior talento tutti i tempi.
«A metà degli anni 50 – racconta Casadio, che ha ricostruito la loro amicizia nel film – il pianista Gilel’s. è all’apice della carriera e incanta il mondo. In un concerto in cui sta per esibirsi si trova di fronte un direttore che non conosce e verso il quale non nasconde una certa diffidenza, data anche la sua giovane età. Al termine dell’esibizione Gilel’s si alza dal pianoforte, raggiunge il podio, si sfila la giacca del frack e la dona platealmente al giovane Yuri. Quella giacca diventa inseparabile da Ahronovitch, che continuerà a indossarla in tutti i grandi teatri del mondo in cui avrà la buona sorte di dirigere. Anche a La Fenice di Venezia, e cosa accadde lo spettatore lo scoprirà nel film».
Nonostante dunque il travolgente successo personale, al musicista viene sistematicamente negato il permesso di uscire dall’Unione Sovietica; il regime comunista gli impedisce di varcare i confini per esibirsi nei teatri oltre cortina, che pure non cessano di invitarlo. Yuri accarezza a lungo il sogno di traferirsi in Israele, la Terra Promessa per ogni ebreo. Sa bene quanto gli costerà il distacco dal Paese in cui è nato, quanto gli mancheranno l’amatissima madre, gli amici con cui è cresciuto. Ma l’anelito alla libertà è più forte.
Nel 1972 Ahronovitch ottiene le carte per espatriare, e il prezzo per quel gesto di insubordinazione sarà la ‘damnatio memoriae’ in tutte le Russie: il suo nome scompare tra i personaggi illustri dell’Unione Sovietica, e persino le sue incisioni, le registrazioni di concerti e i filmati custoditi dalle Televisioni di Stato, vengono sistematicamente distrutti.
In compenso Ahronovitch incontra in Israele Tami, che diventerà la bellissima compagna della sua vita. Yuri è finalmente libero di muoversi, di accettare offerte da ogni Paese, e conquisterà grazie al suo prodigioso talento la notorietà mondiale: London Symphony Orchestra, Israel Philharmonic, Wiener Symphonische Orchester, Tokyo Yomiuri, l’Orchestra filarmonica della Scala. Un’affermazione professionale che lo condurrà sul podio del Covent Garden, della Lyric Opera di Chicago, del Regio Teatro d’Opera di Stoccolma, del Teatro dell’Opera di Colonia, del Teatro dell’Opera di Stato Bavarese di Monaco di Baviera. Parteciperà ai più prestigiosi Festival Internazionali, e approderà fatalmente anche in Italia, dirigendo alla Fenice di Venezia, al Teatro alla Scala di Milano, al Teatro San Carlo in Napoli, all’Accademia Chigiana di Siena, e infine a Torino al Teatro Regio, al Teatro Stabile e all’Auditorium Rai. Dove rimarrà svariati anni alla direzione dell’Orchestra Sinfonica della Rai.
Nell’ottobre del 2002 Yuri Ahronovitch condurrà il suo ultimo concerto con l’Orchestre de Paris, prima di spegnersi il 31 di quello stesso mese a Colonia, nel medesimo giorno di Fellini. Una coincidenza, o forse una sincronicità.
Rimane il fatto che quando l’indomita Tami, innamorata ancora di suo marito come quando l’ha conosciuto, decide di allungargli l’esistenza artistica dedicandogli un film, è a Nevio Casadio che si rivolge. Ricorda il regista:
«Ci sentimmo al telefono. Mi raccontò il suo sogno. Dal suono della voce lontana, avvertii che mi trovavo di fronte a una storia d’amore, tenera, appassionata, di un grande unico amore, di quelle storie che segnano l’esistenza delle persone, in vita ed oltre la vita. Ascoltai quel suono della voce come fosse un canto d’amore, di una donna verso il suo compagno, una ballata o romanza amorosa nel segno della bellezza, come lo è un filo d’erba, o un fiore di campo».
Nasce così la loro collaborazione. Per Casadio una vera impresa, una immersione in apnea, un esercizio di empatia; la sua scommessa consiste nel non accontentarsi del solito ritratto televisivo un po’ oleografico, ma di voler consegnare al pubblico la memoria di un autentico astro della costellazione musicale del Novecento.
Nevio non è un semplice reporter, sebbene nelle note di regia si definisca con qualche civetteria «un cronista con l’obbligo di raccontare»; quando mette le mani a un argomento si trasforma in un investigatore mai soddisfatto, un ricercatore instancabile: deve sapere tutto, vedere tutto, parlare con tutti, senza stanchezza o sazietà, finché il film non emerge dalla nebulosa della fantasia per materializzarsi nel progetto che lui vi ha intravisto con estrema chiarezza.
Il regista si reca a San Pietroburgo, città natale del Maestro, e poi a Mosca, e quindi a Yaroslavl, per raccogliere voci, ricordi, testimonianze di prima mano, dalle persone che hanno conosciuto il musicista e ancora vibrano di affetto e ammirazione per lui. Poi si sposta in altri paesi europei e in Israele. Un road movie, come egli chiama non solo per celia la sua avventura cinematografica:
«Ho iniziato a girare il film su Yuri Ahronovitch senza avere in testa una sceneggiatura come normalmente si fa, ma con l’idea di ripercorrere la vita di questo uomo e artista, per filo e per segno, nelle pieghe più recondite, inedite ed edite. Ho divorato tutto quello che era stato pubblicato, ho visionato le sequenze di concerti da lui diretti e trasmessi nelle televisioni del mondo, le interviste rilasciate su giornali e tv, filmati amatoriali girati da amici e conoscenti, documenti, corrispondenze e un mare di fotografie. Poi, con Tami, sua compagna di una vita, ci siamo messi in cammino. Lei con la sua tenacia ed io con l’esigenza di confrontare l’idea che mi ero fatto dell’artista con la verifica dei fatti, delle testimonianze, delle persone che avrei incontrato».
Nevio trascorre tre mesi in sala di montaggio a confrontare, scegliere, setacciare sequenze nelle 500 ore di materiale audiovisivo collezionato, tra le riprese effettuate in giro per il mondo, i repertori amatoriali, gli archivi professionali delle TV italiane, russe, svedesi, spagnole, israeliane. Senza trascurare contemporaneamente l’ascolto della maggior parte delle incisioni discografiche del Maestro.
Cercando di riportare in vita sullo schermo l’artista scomparso, Casadio si lascia coinvolgere al punto di fondere su quella traccia narrativa l’ordito della propria esistenza: il dolore per il padre scomparso quando aveva appena otto anni, e la stagione dell’adolescenza trascorsa a ricostruirne il sembiante dalle parole degli amici e di chi lo aveva conosciuto. Forse è questa la ragione segreta per la quale lo stile del racconto presenta così tante suggestioni oniriche, ogni volta che la cinepresa si discosta dall’indispensabile documentazione per spaziare a soggetto. Allora in quella che nel cinema viene chiamata l’ambientazione, accade qualcosa di inaspettato: le inquadrature acquistano un respiro misterioso, trascolorano in risonanze, rime, frammenti di sogni, metonimie figurative. Scorci conosciutissimi come la Galleria Vittorio Emanuele o il Duomo di Milano, incorniciati dall’occhio di Casadio, appaiono fondali esotici, sospesi, fiabeschi. Non diversamente dalle ammalianti ‘visioni’ notturne di Zurigo o di Mosca, Leningrado, Yaroslavl, Ascona, Locarno. Una partitura visiva che agisce da contrappunto alle parole, ai concetti, ai racconti appassionati e densi di partecipazione dei tanti musicisti, cantanti, sovrintendenti teatrali, direttori artistici, critici musicali; ognuno orgoglioso di donare una nota diversa a quel canone estemporaneo, di aggiungere una tessera ben incastonata all’emozionante affresco. Il baritono Claudio Desderi si abbandona a un commento lepido quanto eloquente:
“Il Maestro Ahronovitch, non era Furtwängler, alto, biondo, con le braccia larghe, il gesto imperiale. Lui era un uomo piccolo, non aveva il fascino di Brad Pitt, però quando alzava la bacchetta, diventava Dio, questo è il fascino del direttore d’orchestra”.
Commenta Casadio: “Queste parole, non certo d’occasione, furono pronunciate dal baritono con le lacrime agli occhi, sgorgate dall’intima incondizionata ammirazione per il talento artistico di Yuri. Claudio Desderi scomparve poco tempo dopo, e la sua commozione di fronte alla telecamera ci è sembrata frutto del presentimento che quella fosse la sua ultima testimonianza”.
Nel filmato Ahronovitch ci appare per quel che doveva essere in vita, una persona di assoluto magnetismo: fosforico, brillante, fantasioso, provocatorio.
Sulle orme di Yuri Ahronovitch è la favola di un artista fuori dal coro, controcorrente, dotato di un immenso carisma. Ma è anche la pura e semplice storia d’amore fra Yuri, russo-israeliano, e la sua compagna Tami, israeliana nata ad Haifa da genitori che avevano deciso, giovanissimi, di costruire la loro casa nella Terra Promessa per una vita di pace e di libertà. Il racconto di Casadio si pone allo stesso tempo come la vicenda esemplare di un uomo che lotta per affermare la propria dignità, la propria vocazione aetistica, ma anche come uno squarcio palpitante di verità storica, per comprendere meglio il nostro tormentato Novecento, Secolo Breve che abbiamo alle spalle.
Chi ama il cinema e la grande musica, avrà l’opportunità, dopo la prima mondiale a Mosca, di assistere di persona alla proiezione gratuita del film, su grande schermo, che si terrà a Milano sabato 25 maggio alle ore18, presso il Cinema Wanted (via Atto Vannucci 13).
Interverranno all’evento Tani Ahronovitch, l’autore del film Nevio Casadio, il baritono Leo Nucci e Susanna Franchi, autorevole firma del Giornale della Musica.
Questa la scheda tecnica:
YURI
SULLE ORME DI YURI AHRONOVITCH
un film di NEVIO CASADIO
con
TVZI AVNI RUDOLF BUCHBINDER BORIS BELKIN CLAUDIO DESDERI NATALIA GUTMAN DAME GWYNETH JONES LEO NUCCI PAVEL KOGAN IGOR POLESITZKY
TITOLO ORIGINALE: Yuri. Sulle orme di Yuri Ahronovitch
LINGUA ORIGINALE: Italiano, Inglese, Tedesco, Russo, Ebraico
PAESE DI PRODUZIONE: Israele, Italia
ANNO: Maggio 2017
DURATA 126 minuti
COLORE: Colore/Bianco e Nero
AUDIO: Presa Diretta
GENERE: Docufilm – Road Movie
REGIA: Nevio Casadio
SOGGETTO: Nevio Casadio, Tami Ahronovitch
SCENEGGIATURA: Nevio Casadio
PRODUTTORE: Tamar
CASA DI PRODUZIONE DELEGATA: Bottega Video srl – Rimini
PRODUTTORE ESECUTIVO: Francesco Cavalli
FOTOGRAFIA: Marco Colonna, Diego Zicchetti, Roberto Bianchi
MONTAGGIO: Nevio Casadio, Marco Colonna,
OTTIMIZZAZIONE: Mirco Tenti
ASSISTENTE DI PRODUZIONE: Melissa Manfredi