Per i migranti le malattie non trasmissibili e le problematiche legate alla salute mentale e a quella materno-infantile tendono spesso ad acuirsi con il passare del tempo, specie laddove il sistema di integrazione del Paese ospitante risulta carente. Rapporto presentato oggi al ministero della Salute
ROMA – Per i migranti le malattie non trasmissibili e le problematiche legate alla salute mentale e a quella materno-infantile tendono spesso ad acuirsi con il passare del tempo, a causa dell’esposizione continua a determinanti sociali negativi nei Paesi ospitanti, specie laddove il sistema di integrazione del Paese ospitante risulti carente. È quanto emerge dal primo “Rapporto sulla salute dei rifugiati e dei migranti nella Regione Europea dell’Oms”, presentato oggi al ministero della Salute dall’Organizzazione mondiale della sanità e dall’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà.
“Molte malattie non trasmissibili tra i rifugiati e i migranti appena giunti – hanno spiegato – sembrano avere tassi di prevalenza più bassi rispetto alla popolazione che li ospita, ma i due tassi iniziano a convergere man mano che aumenta la durata del soggiorno del migrante nel Paese. E questo è particolarmente evidente per l’obesità”.
Inoltre, sebbene i rifugiati e i migranti abbiano un rischio più basso per quasi tutte le neoplasie, è “più probabile che queste possano essere diagnosticate in una fase più tardiva rispetto alla popolazione ospite”.
La salute mentale del migrante, che di suo può già risentire di esperienze traumatiche legate al percorso migratorio, può invece “addirittura peggiorare, come nel caso della depressione, una volta raggiunto il Paese di destinazione, per via delle cattive condizioni socioeconomiche e dell’isolamento sociale”.
Il Rapporto sottolinea ancora come i migranti nei luoghi di lavoro mostrino, tra gli uomini, incidenti più frequenti rispetto ai cittadini residenti, con condizioni di impiego e di accesso alla protezione sociale e sanitaria molto difformi. Anche i risultati sulla salute materno-infantile mostrano esiti peggiori correlati alla gravidanza tra le donne migranti, mentre i fattori protettivi possono essere legati sia alla persona, quali il livello di istruzione o la conoscenza della lingua, sia all’efficacia delle politiche di integrazione.
Infine, le evidenze disponibili in tema di accesso ai servizi sanitari descrivono un quadro variegato nella Regione europea, che dipende da molti fattori: tra questi, lo status giuridico (in particolare la condizione di regolarità nel Paese), l’organizzazione stessa dei servizi e la loro gratuità.
In conclusione, il Rapporto mostra come le malattie infettive abbiano ricevuto “maggiore attenzione nella letteratura scientifica, ma cresce la consapevolezza che esiste una vasta gamma di problematiche sanitarie, come le malattie non infettive, la salute materno-infantile e la salute dei lavoratori, che richiedono politiche mirate e culturalmente orientate”. Occorre pertanto “rafforzare la raccolta delle evidenze, la collaborazione intersettoriale e multidisciplinare, nonché i sistemi informativi nazionali. È necessario infine abbattere le barriere d’accesso ai servizi sanitari – hanno concluso – con l’obiettivo di una sempre maggiore equità nella salute ed efficacia delle politiche di sanità pubblica”. (DIRE)