Da quando il Primo Ministro Mario Monti ha dichiarato che la prosecuzione del suo attuale incarico, sia pure a certe condizioni, è possibile anche dopo le imminenti elezioni, si è aperto il dibattito sugli effetti politici di questa disponibilità. Il Centro di Casini e Fini ha esultato, il PD e la Sinistra si sono in maggioranza detti contrari, il PDL ha sospeso la sua valutazione, la Destra, l’M5s e la Lega Nord si sono schierati per il no in assoluto.
Ma si tratta di un quadro in evoluzione che, a ben vedere, offre un’insperata opportunità al Pdl. Il Pdl è una forza politica in evidente affanno, aggrappata a un leader che mostra chiaramente di non essere più in grado di gestire l’attuale sviluppo politico, fortemente indebolito dagli scandali personali del suo capo e dei suoi rappresentanti nei vari consessi nazionali e locali, impregnato di un berlusconismo palesemente passato di moda ed ormai impresentabile. Un partito che risulta sempre più schiacciato sul suo zoccolo duro di circa il 15%, senza più appeal verso le nuove generazioni – tanto che le stesse televisioni Mediaset patiscono l’invecchiamento delle proposte con grave perdita di ascolti e di pubblicità – e sempre più isolato dalle altre forze politiche di area nessuna delle quali, dal Centro di Casini a Montezemolo alla Lega Nord accettano più di offrirsi all’elettorato in coalizione con lui. A livello internazionale, poi, il gradimento del Pdl è nullo.
Al contrario il Primo Ministro Monti risulta godere di grande stima e apprezzamento sul palcoscenico mondiale. La cura dimagrante che ha somministrato è stata accettata dagli italiani senza le grandi manifestazioni che hanno pervaso la Grecia, la Spagna ed ora anche la Francia ed è assai diffusa la convinzione che difficilmente altri potrebbero sostituirlo nell’arginare la corsa dello spread rispetto ai bund tedeschi. In tanti ritengono che se Monti, assieme al Consiglio dei suoi ministri, non interviene per ridurre le tasse, per promuovere lo sviluppo, per superare il baratro della disoccupazione e per pagare i debiti dello Stato verso i fornitori è solo perché non può, non perché non vuole e da tante mancanze del suo dicastero lo assolvono scommettendo che, con il suo prestigio internazionale, riuscirà a trovare le condizioni per superare la crisi.
Insomma Mario Monti vanta un patrimonio di credibilità, sia all’interno che all’esterno dell’Italia, che solo per sua volontà non si dispiegherà nelle prossime elezioni avendo rifiutato di candidarsi.
Tuttavia la disponibilità a proseguire l’incarico senza schierarsi politicamente rende Monti una figura strumentalizzabile sopratutto da chi, come il Pdl, si trova praticamente con l’acqua alla gola, con molti big prossimi alla fuga e costretto a scelte drastiche per ricompattare sostenitori ed elettorato.
Se il Pdl si facesse portabandiera di un Monti bis, da una parte, perderebbe la Destra di Storace, la Santaché e qualcun altro, ma dall’altra si presenterebbe al popolo con nuovo piglio moralizzatore e nuovamente allineato al Centro di Casini che, a sua volta, gli si troverebbe inopinatamente alleato. Soprattutto il Pdl si approprierebbe di quel patrimonio di affidabilità e credibilità di Mario di Monti di cui ha oggi un bisogno disperato per risalire la china impietosa dei sondaggi.
In tal caso sarebbe il Pd a dover scegliere tra il combattere nelle elezioni contro il patrimonio morale di Monti ovvero aderire a sua volta al Monti bis, peraltro così conculcando le aspettative di Matteo Renzi chiamato a sua volta a scegliere se farsi una lista separata all’insegna del “più primo pilu per tutti” o se aspettare tempi migliori tra i ranghi del partito.
Anche il M5s, l’Idv e Sel finirebbero ridimensionati dalla prospettiva di un Monti bis apertamente offerta dai partiti maggiori agli elettori.
Insomma, il Monti bis risolverebbe in un colpo solo una serie di prospettive pronte ad esplodere e sconvolgenti dell’attuale quadro politico e costituirebbe un solido rifugio per il mantenimento dello status quo all’ombra del quale proseguire nella moina di cambiamenti che non arrivano mai sicché anche la revisione della legge elettorale passerebbe a data da destinare.
Nulla cambierebbe rispetto all’oggi se non il quadro dei ministri, alcuni dei quali potrebbero rimanere ed altri essere sostituiti, ed il panorama dei parlamentari, comunque con un impatto minimo rispetto all’attualità che aspetta il superamento ciclico della crisi economica per veder riespandersi l’appetito insaziabile della partitocrazia.
Queste ipotesi sono state rese possibili da una disponibilità assai poco selettiva di Monti a proseguire la sua premiership e presentata in modo da essere colta per superare difficoltà elettorali di vario tipo con cui si confrontano attualmente i partiti maggiori. Proprio per questo, evidentemente, Monti si è affrettato ad erigere un argine al Monti bis non appena rientrato a Roma da New York, ma quella disponibilità non è stata definitivamente revocata ed è ancora un’opzione. Anche per il Pdl.
Evitare la prospettiva gattopardesca si potrebbe solo se Monti si candidasse o se, sin d’ora, si rifiutasse da parte di tutti la sua offerta di un Monti bis giubilandolo coralmente al Quirinale.
Ma Monti ha già escluso la sua candidatura alle elezioni per il fatto, in realtà non ostativo, di essere già senatore a vita e la sua ascesa al Colle, seppure presente nel dibattito politico, non viene messa all’ordine del giorno.
Resta invece, come una bitta sul molo, la prospettiva del Monti bis che sembra soprattutto un’offerta di ormeggio alla nave del Pdl. Staremo a vedere se almeno è in grado di vederla il comandante di quella nave o se preferisce andare alla deriva.