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Casa dello Studente, macerie e anniversari

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di Antonietta Centofanti

laquila-casa-dello-studenteSiamo al decimo anniversario del sisma del 6 aprile 2009 che devastò L’Aquila e decine e decime di borghi limitrofi. E siamo al rituale degli anniversari che durano un giorno. Le fiaccolate, i rintocchi delle campane, fiori e corone deposti, presenze istituzionali eccellenti. Ma il giorno dopo?
Nel rispetto dei morti dell’Aquila – e di tutti gli altri venuti in seguito– si può fare davvero qualcosa? Pensare al futuro di chi è vivo? Siamo un paese che conosce le sue tragedie, ma non le evita, le aspetta. Non riusciamo a fare memoria delle ragioni dei disastri per cercare di evitarli e costruirci sopra.  Altrimenti, dopo la strage dei bambini di San Giuliano di Puglia, morti nel crollo della loro scuola il 31 ottobre 2002, insieme alla maestra, non avremmo dovuto seppellire altri ragazzi, quelli della Casa dello studente, un edificio pubblico, di proprietà della Regione Abruzzo e dato in comodato d’uso all’Azienda per il diritto allo studio.
E invece si. Nella notte del 6 aprile 2009 che ha lasciato sotto le macerie 309 persone, ho perso Davide, mio nipote. Non aveva ancora vent’anni, oggi ne avrebbe trenta e sarebbe ingegnere. Studiava Analisi 2, in quei giorni. Giocava a pallavolo nella Magica Team di Vasto.  Dormiva nella Casa dello Studente insieme agli altri sette ragazzi uccisi dal crollo: Luca Lunari, Marco Alviani, Luciana Capuano, Angela Cruciano, Francesco Esposito, Hussein Hamade (detto Michelone), Alessio Di Simone.
Il processo penale a carico dei responsabili della costruzione e della manutenzione dello stabile si è concluso nel maggio del 2016 con la condanna in via definitiva a quattro anni di reclusione per gli ingegneri Bernardino Pace, Pietro Centofanti e Tancredi Rosicone, e a due anni e sei mesi per Pietro Sebastiani, il presidente della Commissione collaudo dell’Azienda per il diritto allo  studio. Le accuse sono omicidio colposo, disastro e lesioni. Nelle motivazioni delle condanne i giudici hanno scritto che l’edificio – costruito nel 1965 dalla casa farmaceutica Angelini – era destinato a crollare perché, ancora prima dei lavori di ristrutturazione eseguiti nel 2000, era stato “totalmente, e pericolosamente, modificato rispetto al progetto originario e alla iniziale destinazione d’uso”.
Appurati i gravi errori dell’ingegnere responsabile delle modifiche precedenti, ormai deceduto, la Cassazione aveva quindi condannato i tre ingegneri che ne curarono la ristrutturazione nel 2000, e l’architetto responsabile del collaudo, per non aver controllato i nuovi carichi di peso che gravavano sull’edificio e la tenuta statica prima di eseguire gli interventi che avevano progettato. Opere che, secondo i giudici, “hanno aggravato gli effetti del crollo”. Nella condanna definitiva la Cassazione ha anche rifiutato ai tre ingegneri le attenuanti generiche per “la gravità dei fatti, essendo l’immobile destinato ad ospitare giovani”.
A noi, parenti delle vittime, catapultati dal lutto in una vita che non era la nostra, resta un inestimabile bagaglio di informazioni. Siamo diventati esperti di terremoti, di costruzioni, di norme. Abbiamo manifestato per chiedere verità e giustizia, fatto rete, superando la dicotomia tra esperienza affettiva e esperienza storica. Oggi siamo in tanti, riuniti nel comitato nazionale “Noi non dimentichiamo” che nasce dalle macerie delle innumerevoli tragedie italiane dovute all’incuria umana. Siamo diventati le sentinelle del territorio in lotta per la vita.


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