Non si fermano le mobilitazioni di solidarietà a Nasrin Sotoudeh, l’avvocatessa iraniana condannata a 33 anni di carcere e 148 frustate.
Martedì 9 aprile alle 11,30 gli avvocati di Roma, muniti di toga, prenderanno parte alla grande manifestazione di protesta che si terrà davanti all’ambasciata iraniana in via Nomentana.
Con il presidente dell’Ordine degli avvocati di Roma, Antonino Galletti, ho avuto una conversazione telefonica. E mi ha detto: “E’ il momento di far sentire più che mai la voce degli avvocati in supporto alla collega iraniana. Sarò presente alla manifestazione in rappresentanza della grande famiglia forense romana vicina da sempre alla tutela della libertà e dei diritti”. Per questo motivo, così come prevede la delibera nell’estratto dal verbale dell’adunanza del 14 marzo 2019 “Tutela Internazionale degli avvocati”, verrà dedicato proprio alla collega iraniana il Congresso Nazionale Forense che si terrà a Roma il prossimo 5 e 6 aprile.
Alla manifestazione del 9, parteciperà anche la Camera Penale di Roma e la sua Commissione carcere, che attraverso un comunicato stampa afferma: “L’avvocatura non può tacere ha il dovere di essere al fianco di Nasrin e non lasciarla sola. Se ha un senso la toga che indossiamo, se diamo un valore al nostro giuramento, se sentiamo struggente la vocazione costituzionale del difendere in confini invalicabili dei diritti della persona, anche quando è un potere di Stato a vilipenderli e menomarli, accanto a Nasrin dobbiamo gridare con tutta la nostra voce. Indossiamo le nostre toghe, siamo vessillo di libertà”.
Nel frattempo l’Ambasciatore Iraniano SE Hamid Bayat, qualche giorno fa ha avuto un incontro proprio sulla vicenda dell’avvocatessa iraniana con la senatrice della Lega, Stefania Pucciarelli, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani.
Personalmente sono stata spesso spettatrice di alcuni casi in cui vi era stata una vera e propria campagna mediatica internazionale denigratoria nei confronti dell’Iran, strumentalizzando le vicende di turno con l’intento di mostrare il solito Iran ‘Stato canaglia’. Questo caso, però, è diverso: conosco la storia di Nasrin da molti anni prima di questa sentenza e conosco suo marito, Reza Khandan, con il quale ho un contatto diretto quotidiano. Un uomo, padre di famiglia che sta mettendo a repentaglio la propria incolumità pur di fornirci aggiornamenti sulla condizione attuale di Nasrin.
Le motivazioni della sentenza e le accuse all’avvocatessa sono solo la conseguenza del suo pacifico lavoro in favore dei diritti umani, inclusa la difesa delle donne che protestano contro l’obbligo di indossare il velo in Iran alle quali va sempre tutta la mia solidarietà. Ovviamente se l’ambasciata iraniana avesse delle motivazioni valide da volerci sottoporre e volesse chiarirci le ‘infondatezze’ del caso, sarei ben disposta ad ascoltare le ‘spiegazioni’ di cui parla nel tweet.
Fino a quel momento, per me rimangono valide solo le parole chiare e malinconiche di Reza Khandan, che quasi con pudore ogni giorno mi chiede di continuare a parlare di sua moglie, e ringrazia mille volte me e tutti noi per quello che stiamo facendo per riportare a casa Nasrin. Reza mi ha detto che spera di poter girare un nuovo video anche se in carcere non è facile. Nel frattempo è diventato virale quello di qualche anno fa, nel 2012, quando Nasrin sempre in carcere ad Evin, parla e gioca con Nima, suo figlio più piccolo, attraverso il telefono con un vetro che li divide. Un video straziante in cui la figlia più grande Mehraveh piange e Nasrin con grande dignità cerca di rendere meno lancinante un momento così doloroso.
Anche Amnesty International prosegue con la campagna per la liberazione di Nasrin attraverso una petizione che ha già superato le 130mila adesioni; Parigi poi si appresta a concedere la cittadinanza onoraria.
Senza citare alcuna associazione di opposizione al regime teocratico iraniano, mi rammarica vedere che in campagne mediatiche di così grande portata vi sia anche l’infiltrazione di gruppi che utilizzano la causa dei diritti umani per fare propaganda a favore delle proprie ideologie. L’unico obiettivo da raggiungere invece resta esclusivamente la liberazione immediata di Nasrin Sotoudeh che al più presto deve essere ‘restituita’ alla propria famiglia e a chi come lei crede nella libertà e nella giustizia.