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La crisi della democrazia americana

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di Paolo Naso. Coordinatore di Mediterranean Hope – Programma rifugiati e migranti della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), docente di Scienza politica all’Università Sapienza di Roma.

 

Quali sono i segni che rivelano l’ammalarsi di una democrazia? Il fascismo può tornare in altre forme rispetto a quelle che conosciamo dalla storia? Queste le domande che si pongono alcuni professori dei massimi atenei statunitensi nell’osservare le sfide alla democrazia operate da Trump, sempre più orientato ad un “governo del popolo”.

Una democrazia può morire? E non per un colpo di stato autoritario ma perché si ammala, aggredita da virus letali che non riesce a contrastare? E in questa prospettiva, come sta la democrazia americana nell’era di Donald Trump? Non se lo chiedono cultori dell’antioccidentalismo, né militanti antimperialisti ma togati intellettuali delle università più prestigiose degli Stati Uniti, in libri che fanno discutere quella porzione – oggi minoritaria – di americani progressisti: persone di media cultura, che leggono il New York Times e ignorano la rete tv Fox, che frequentano le confortevoli librerie di Barnes & Noble e giudicano costernati la politica della Casa Bianca: Steven Levitsky e Daniel Ziblatt, tutti e due professori nel prestigioso ateneo di Harvard, autori di un libro con una funerea sovracopertina nera, intitolato How Democracies Die, come muoiono le democrazie.

Jason Stanley è un politologo di Yale, altro polo accademico degli Usa, e il suo libro best seller si intitola How Fascism Works: The Politics of Us and Them (“Come funziona il fascismo. La politica del noi e loro”). Iniziamo da quest’ultimo che spiega bene – come gli altri autori citati, del resto – che il fascismo non ha una forma unica che si ripete nel tempo. Ma se si può essere fascisti anche senza camicia nera e moschetto, che cosa caratterizza il fascismo? Stanley indica tre elementi. Il primo: ogni fascismo evoca un passato glorioso corrotto e distrutto da una modernità blasfema e disordinata. È stato il mito imperiale del fascismo italiano, così come oggi è l’imperialismo ottomano di Erdogan o il mito nazionalista ungherese di Orban. Il secondo elemento: i fascismi di ieri e di oggi nascono e si alimentano delle divisioni violente. Il suo paradigma essenziale è la contrapposizione tra “noi” e “loro”, categorie difficili da definire – Chi siamo “noi”? Chi sono “loro”? – ma utili a creare un senso di antagonismo militante, di scontro continuo alimentato da un’ideologia: sia essa nazionalistica come fu per il fascismo italiano; razzista come accadde nella Germania nazista; religiosa come emerge in tutti i fondamentalismi… Continua su confronti 


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