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Quelle telecamere di Cortocircuito a Brescello

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di Enrico Lorenzo Tidona

cortocircuitoIl primo storico scioglimento per mafia di un comune dell’Emilia-Romagna è stato conseguenza diretta della curiosità di un gruppo di studenti delle scuole superiori di Reggio Emilia.
Telecamere alla mano, hanno messo dei microfoni sotto la bocca di amministratori locali, imprenditori calabresi e coscienze critiche di un passato mai veramente indagato, rivelando sottovalutazioni e l’intreccio tra criminali e affari che, come massimo risultato, ha portato allo scioglimento del consiglio comunale di Brescello.
Presi forse alla sprovvista e senza dare troppo peso alla portata di quell’impegno dei giovani reporter, gli “adulti” hanno risposto a domande dando il via all’improvviso disvelamento di alcune relazioni tra società civile reggiana e sistema affaristico criminale calabrese, parte del quale confluito poi nel maxi processo Aemilia contro la ‘ndrangheta al nord.
La forza di questi ragazzi, che avevano fondato il giornalino studentesco Cortocircuito sotto forma di web-tv – ora diventato un collettivo antimafia – era la sfrontatezza di quelle domande: istintive, senza filtri, alla ricerca di verità rivelatesi poi incredibilmente scomode, anche per chi si è dimostrato non colluso ma semplicemente ignaro di quella colonizzazione da parte della ‘ndrangheta nella ricca regione del nord del Paese.
Con loro c’è fin dall’inizio Elia Minari, mente in opera di Cortocircuito, divenuto ora testimonial dell’antimafia a livello nazionale, che sta portando il suo primo libro – non a caso intitolato “Guardare la mafia negli occhi” – in giro per l’Italia e anche all’estero, in Germania ad esempio, frontiera del reimpiego dei capitali illeciti da parte anche degli affiliati della cosca Grande Aracri di Cutro, quella che domina in Emilia e che ha visto condannare circa 200 persone nel processo Aemilia.
E pensare che questi ragazzi erano partiti con l’idea – nell’ambito di un giornalino studentesco votato alle nuove tecnologie e ai video – di fare inchieste sulla loro vita di adolescenti. I primi video sono del 2010: parlano di lavoro, immigrazione, inclusione sociale, con interviste a personaggi noti di passaggio a Reggio Emilia. Il regista di questi video postati poi sul canale Youtube dell’associazione Cortocircuito è Elia, che legge, si informa, segue la cronaca dai quotidiani locali, e intuisce che c’è un problema rilevante a Reggio Emilia con la ‘ndrangheta.
Ecco allora che quel microfono e la telecamera tenuta in mano dagli amici, diventano un sistema di indagine potente, anche perché sfrutta i video e l’effetto moltiplicativo dei social. Non solo: essere giovani studenti fa abbassare spesso la guardia agli interlocutori, nella convinzione di non trovarsi di fronte dei giornalisti.
Dal 2010, anche quando si tratta di parlare di Tav o di discoteche reggiane, i servizi contengono sempre domande sulle infiltrazioni a Reggio Emilia. Elia elabora con gli amici una narrazione che diventa il sale di quelle interviste e la base delle future video inchieste. Il video del 2013 “Non è successo niente: 40 roghi a Reggio Emilia” diventa il primo successo di pubblico.
Un resoconto dei servizi giornalistici sulla serie incredibile di roghi di auto e cantieri che illuminano a giorno le notti di Reggio Emilia. I ragazzi, mentre girano il video in strada, vengono presi di mira anche da Gaetano Blasco, condannato poi in primo grado per associazione mafiosa in Aemilia. La politica locale e quella centrale si accorgono del valore del loro lavoro. Li premiano, li invitano, li promuovono.
Poi arriva la botta più forte: viene prodotto “La ‘Ndrangheta di casa nostra. Radici in terra emiliana”, video inchiesta in tre parti firmata sempre dagli studenti di Cortocircuito, diventati nel frattempo degli universitari. Quella in cui – era il 2014 – l’allora sindaco di Brescello Marcello Coffrini sottovalutò la presenza del suo concittadino, Francesco Grande Aracri, cutrese, fratello del boss Nicolino Grande Aracri e condannato in via definitiva per un reato con l’aggravante mafiosa. Coffrini usò parole benevole per Francesco Grande Aracri, descrivendolo come un uomo “gentilissimo, tranquillo, composto, educato” e che “ha sempre vissuto a basso livello”.
Una sottovalutazione che fece alzare le antenne alla prefettura – guidata dal prefetto antimafia Antonella De Miro – e che determinò l’isolamento politico per Coffrini oltre al successivo scioglimento per condizionamenti mafiosi del comune sulle risultanze di una commissione di accesso agli atti.
Da lì il livello di coscienza sul fenomeno, da parte degli stessi reggiani, si impenna. L’eco nazionale è forte anche perché a mettere in evidenza quei fatti erano stati dei semplici studenti reggiani, che avevano compreso che per parlare della loro quotidianità dovevano ormai parlare anche di ‘ndrangheta. Una storia nella storia che ha contribuito a risvegliare dal torpore anche le menti degli “adulti”.

Da mafie


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