Una scena elegante, composta da pochi elementi: una toilette con specchio luminoso, il tavolino con le medicine ordinatamente posizionate, una poltroncina, una scala che non si vede ma che sovrasta la scenografia, la parete destra con un’apertura che si chiude in alto come un semicerchio. E poi c’è il letto, un apparentemente confortevole matrimoniale con copriletto elegante, biancheria pulita e doppi cuscini. Quasi non si nota, c’è una donna anziana distesa – diremmo abbandonata tra le coltri – che pare inghiottita in quel piccolo mondo che sicuramente è stato testimone di momenti migliori. In maniera stanca, a tratti scoordinata, si muove un uomo già di una certa età che cerca di soddisfare i capricciosi desideri di quella persona che per lui è stata ed è, molto importante: è un figlio rassegnato, che vede con grande disagio una situazione che non riesce completamente a gestire. L’ama, per certi versi la odia, perché sa di non essere gradito da lei che lo aveva accettato, giovanissima, come figlio forse non realmente desiderato e che le ha condizionato la sua vita, il desiderio di essere ancora ragazza, di andare al cinema, forse di avere rapporti più soddisfacente col ragazzo che aveva sposato quando erano ambedue studenti del liceo. Lo colpevolizzava per i cinema non più frequentati, per i pannolini da cambiare (anche se di questo se ne occupava, in realtà, il padre); ed ora è lei che ha bisogno di essere accudita, non ha autosufficienza, spesso la memoria la tradisce, non si rende conto che il suo modo di comportarsi allontana da lei chi, in fondo, le vuole bene.
Questa la base su cui si sviluppa una storia bella e affascinante a tratti divertente, spesso capace di far pensare, e non necessariamente in maniera negativa, sul correre della vita umana verso un traguardo non desiderato ma che si è costretti ad accettare. Ad immaginarla, trasfondendola in un testo teatrale di grande qualità, il triestino Furio Bordon, sicuramente uno dei nostri migliori drammaturghi a cui si devono commedie quale, ad esempio, Le ultime lune interpretato per la prima volta in Italia da Marcello Mastroianni (1995/96), ripreso con protagonista Gastone Moschin (1998), e portato ai massimi livelli da Gianrico Tedeschi che lo ha reso nella sua umanità per dieci stagioni consecutive (2000-2010). Tradotto e allestito nel mondo in più di 20 lingue e in 30 paesi, era incentrato sulla figura di un vecchio professore universitario che decide di ritirarsi in una casa di riposo per lasciare più spazio alla famiglia del figlio e concedere alla nipotina la sua stanza. La senilità (e la morte) anche in quella occasione era stata raccontata con sensibilità, evitando sviluppi verso il patetico che quasi inevitabilmente porta al melodramma.
Assieme a La notte dell’angelo, Un momento difficile si identifica in un progetto drammaturgico svolto da Furio Bordon nel corso degli anni, un trittico sui morti che ritornano, morte che viene vista come elemento della vita, mai nella drammaticità di un momento che chiude l’esistenza. La bravura dell’autore è di riuscire a mantenere grossa lievità, facendoci pensare ad una realtà che, spesso, tendiamo a non voler affrontare: la scomparsa dei genitori e in generale delle persone più care. Dopo pochi minuti, appaiono sul palcoscenico (è il termine più corretto per definire questo sviluppo narrativo) due giovani belli, elegantemente vestiti di bianco: sono il padre del protagonista e la madre vista e raccontata quando era quella splendida donna a cui gli uomini facevano la corte. Sono le luci che si accendono e si spengono, creando grande carica emotiva, a fare entrare ed uscire dalla narrazione la coppia che ha saputo essere felice nonostante i vari momenti disinibiti che mai hanno messo in dubbio la forza del rapporto matrimoniale. Si amavano, si amano, continueranno ad amarsi giustificando l’uno le scappatelle o anche le storie più sentimentalmente impegnative dell’altro. Il bianco dei loro abiti può essere letto come identificazione di angeli che scendono sulla Terra per aiutare il figlio, che mai hanno smesso di amare, ad affrontare questa difficile prova e tentare di proteggerlo; con un’ammissione della giovane madre quell’ex ‘puzzolente’ a cui dovevano cambiare frequentemente i pannolini era il centro della sua vita. Ma possono essere anche considerati fantasmi che non riescono a staccarsi dalla vita terrena, o specie di custodi di un uomo ormai anziano che non ha la maturità per accettare la perdita della genitrice.
La regia di Giovanni Anfuso è funzionale e attenta ai particolari: lo specchio che riflette l’immagine dell’interprete che in quel momento gli interessa portandola in primo piano, la scala che gli permette di creare emozionanti dialoghi fornendo maggiore o minore visibilità ai personaggi, il letto protagonista delle sofferenze della donna ma anche della pietas che riceve da lei stessa giovane, perfetto complice dell’amore o della stanchezza senza fine del figlio. Toccante la scelta di fare commentare dalla Ninna Nanna eseguita dalla sempre brava Lisa Angelillo l’ultima scena della commediaMassimo Dapporto rende da par suo tutte le sfumature di un personaggio complesso, la grande attrice triestina Ariella Reggio – 82 anni, ma non li dimostra – è una commovente madre che nel finale si fa apprezzare anche come delicatissima ballerina, Francesco Foti e Debora Bernardi credono ai loro personaggi e li propongono in maniera convincente.
Al Teatro della Corte di Genova – Un momento difficile interpretato da Massimo Dapporto
Scheda spettacolo:
Un momento difficile di Furio Bordon
Interpreti Massimo Dapporto, Ariella Reggio, Francesco Foti, Debora Bernardi
Musiche Paolo Daniele
Ninna Nanna Lisa Angelillo
Coreografie Amalia Borsellino
Luci Gaetano La Mela
Scene Alessandro Chiti
Costumi Riccardo Cappello
Regia Giovanni Anfuso
Regista assistente Angelo D’Agosta
Produzione Teatro Stabile di Catania, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia