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Omicidio Alpi-Hrovatin. Per la terza volta la Procura cerca di metterci una pietra sopra. Noi no. #NoiNonArchiviamo

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E così la Procura di Roma chiede di nuovo l’archiviazione. In altre parole, sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin secondo i magistrati non c’è più nulla da indagare. Che dire, dopo 25 anni di non-indagini, di inerzie, di dichiarazioni e promesse di impegno a trovare la verità da parte dei diversi Procuratori che si sono succeduti nella Capitale, seguiti immancabilmente da poco-o-niente, da risultati scarsi o nulli o, peggio, da errori giudiziari colossali. Come nel caso del “capro espiatorio” Hashi Omar Hassan, che si è fatto 17 anni di carcere per niente, per poi sentirsi dire – dai giudici di Perugia, però, non di Roma – che sulla sua pelle è stata messa in atto un’ampia e raffinata azione di depistaggio.

Depistaggio, l’hanno scritto i giudici, non i “soliti giornalisti dietrologi”. E l’anno scritto solo due anni fa. Ma secondo la Procura di Roma non resta nulla da indagare.

Chi scrive (e non da solo: l’hanno ripetuto fino alla noia in tanti, compresi gli stessi genitori di Ilaria, Luciana e Giorgio Alpi) ha sostenuto fin dall’epoca del suo arresto, nel lontano gennaio 1998, che Hashi fosse un capro espiatorio per mettere una pietra tombale sull’imbarazzante vicenda dell’esecuzione dei due giornalisti Rai. Occorreva dare un contentino ai “rompiscatole” Luciana e Giorgio, e magari far smettere le inchieste di giornalisti e magistrati di altre Procure che facevano continuamente saltar fuori nuove piste e nuovi indizi. L’operazione non è riuscita, ma ci sono voluti 17 anni per arrivare a scrivere la parola depistaggio.

Quindi, che dire dei 25 anni di palese incapacità di risolvere il caso da parte della Procura di Roma? Che dire della mancata autopsia e delle indagini mai svolte sulla violazione dei sigilli sui bagagli, come pure sulla scomparsa di alcuni bloc notes di Ilaria e sulla sottrazione delle cassette del girato dei giornalisti in terra somala? Che dire dei primi mesi di inchiesta, a ridosso dei fatti, quando i genitori andavano a battere i pugni sul tavolo a Piazzale Clodio perché le indagini erano ferme al nastro di partenza? Che dire del fatto che il Capo della Procura dell’epoca, nel luglio del 1997, ha tolto l’indagine all’unico magistrato che stava ottenendo risultati concreti e che aveva individuato quattro testimoni oculari? Che dire del cambio di mano proprio quando i quattro testi stavano arrivando a Roma per testimoniare? Che dire della scandalosa conduzione dell’accusa nei confronti di Hashi? Che dire dei risultati zero sui 26 punti che il Gip Emanuele Cersosimo chiedeva nel 2007 di approfondire? Che dire, infine, dell’ulteriore niente riguardo alle 6 nuove richieste di indagare formulate dal Gip Andrea Fanelli, nell’ordinanza del 2017?

Diciamola come sta: un fiasco totale. L’unico risultato concreto ottenuto dalla Procura di Roma è stato la condanna di un innocente.

E non è tutto. Non va dimenticato che la Commissione Parlamentare d’inchiesta dedicata al caso, che ha operato fra il 2004 e il 2006, aveva poteri d’indagine analoghi a quelli della magistratura. Che dire degli esiti fuorvianti e depistanti a cui ha portato? Carletto Taormina, presidente di quella sciagurata Commissione, ha detto che la nuova richiesta di archiviazione chiesta dalla Procura di Roma conferma il lavoro dell’organismo parlamentare da lui guidato. In un certo senso ha ragione: l’una conferma il bilancio disastroso dell’altra. L’una conferma gli errori e gli insuccessi dell’altra. Carletto, il “caso Alpi-Hrovatin”, l’ha archiviato allora. I magistrati romani chiedono per la terza volta di metterci una pietra sopra. Noi no. #NoiNonArchiviamo.


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