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L’impasse venezuelano e le mire di Trump

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Non basta il carosello di voci e smentite di contatti tra il presidente Maduro e l’autoproclamato suo contendente Guaidó, per allontanare il timore che nella crisi venezuelana possano in qualsiasi momento divampare le fiamme. Donald Trump l’ha determinata e sponsorizzata per inasprire ulteriormente tanto i rapporti internazionali quanto tra governo e opposizione nel paese sudamericano. Insoddisfatto di quelli esistenti, già pessimi. Non gli importa se per ottenere questo devastante risultato deve deteriorare anche le relazioni con gli alleati europei, tutt’altro che ottime. Dividi et impera è il segno del suo isolazionismo attivo, che nell’immediato mira alla cassaforte petrolifera venezuelana, ma soprattutto deve garantire la propria permanenza alla Casa Bianca cercando ad ogni costo di rappresentarla come una trincea circondata di nemici.

In una simile strategia Nicolas Maduro è il nemico perfetto. Campione di uno stato-proprietario corrotto e inefficiente, demagogico e autoritario, travolto da un’inflazione incontenibile. In un sub-continente prevalentemente né molto più efficiente né molto più onesto; ma adesso deciso nuovamente non a liberalizzare gran parte delle proprie ricchezze mettendole su un mercato vero, competitivo, bensì a privatizzarle, spesso d’accordo con gli amici. Si parla di miniere, porti, terminali di oleodotti, autostrade, centrali elettriche, raffinerie, aeroporti di cui si sa e non si sa che sono cedibili o già promessi. Con la giustificazione che dall’Istmo alla Patagonia sono tutti indebitati a più non posso e i tassi d’interesse appaiono in risalita. Una situazione simile a quella degli scorsi anni Ottanta. Ma stavolta i creditori non hanno intenzione di fare sconti.

Tra i creditori ci sono la Russia e in misura ancora maggiore la Cina (entrambe grandi creditrici anche degli Stati Uniti). In America Latina cercano di assicurarsi parte delle risorse -soprattutto energetiche e alimentari- indispensabili ai loro progetti di sviluppo. Approfittando delle periodiche neutralità degli Stati Uniti e dell’incapacità europea di agire coerentemente in favore delle non trascurabili e possibili sinergie con l’America Latina, che funzionerebbero anche come fattore di rafforzamento degli istituti democratici. Ma a eccezione della Spagna, che memore del passato imperiale e favorita dalla lingua comune ha cercato di dare alla sua presenza continuità e consistenza, soltanto Italia e Francia hanno portato avanti iniziative peraltro sporadiche.

Il petrolio, gli Stati Uniti che ne sono a tutt’oggi i maggiori acquirenti e i militari venezuelani associati al controllo delle esportazioni, rimangono quindi gli elementi determinanti della vicenda. Ne dipende lo stesso protagonismo di Maduro. Al quale i capi delle forze armate -nessuno può dire quanto sinceramente- gli confermano fedeltà. Lasciandosi però aperto uno spiraglio: quando avvertono di non essere disposti alla repressione della protesta popolare. I morti di mercoledi scorso -almeno 20- non costituiscono dunque massa critica. E’ un’indicazione di misura per chi si prepara a forzare la situazione fino allo strappo finale. La clessidra della mediazione conserva ormai pochi granelli di sabbia. Mentre sale la pressione per una soluzione di forza. Solo uno scatto d’intelligenza e di coraggio politico da una parte o dall’altra della barricata potrà evitarla.


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