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Soccorsi nel Mediterraneo, l’appello di Unhcr e l’ennesimo schiaffo di Salvini

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Nonostante il freddo intenso dell’inverno, il rischio per le condizioni del mare e I continui naufragi dall’inizio dell’anno 4.507 persone hanno già attraversato il Mediterraneo per raggiungere l’Europa. Di chi non è sopravvissuto si sa poco o nulla, tranne che, come nel caso del gommone con a bordo 200 persone, sprofondato al largo della Libia, non ci sia la testimonianza di chi è scampato alla morte.
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che segue con crescente apprensione la situazione dei flussi migratori provenienti dalle coste libiche, lancia un appello dopo gli ultimi eventi dei giorni scorsi e i numerosi ‘incidenti’ legati a operazioni di soccorso, come quello del mercantile che ha ricondotto in Libia persone soccorse in mare e l’incapacità, o meglio la mancanza di volontà, delle Guardia Costiera libica di garanti interventi nell’area di ricerca e di soccorso (SAR) di propria competenz.
Nel fine settimana, circa 170 persone hanno perso la vita in due distinti naufragi, il primo di un’imbarcazione con 117 persone a bordo affondato al largo del Paeee nord africano, il secondo nelle acque fra il Marocco e la Spagna con 53 annegati.
Chi riesce a scampare ai naufragi non se la passa meglio. I 144 migranti, comprese donne incinte e bambini, salvati nel Mediterraneo dal cargo ‘Lady Sham’, sono stati trasferiti in un centro di detenzione in Libia.
È proprio l’esito finale dei soccorsi di domenica scorsa al largo di Tripoli – riferito dall’Oim – ha animato un nuovo scontro tra l’Unhcr e il ministro dell’Interno Matteo Salvini.
Per l’Agenzia dell’Onu “i rifugiati soccorsi non devono fare ritorno in Libia, considerato l’attuale contesto, in cui prevalgono scontri violenti e diffuse violazioni dei diritti umani”.
Unhcr ha, ancora una volta, sollecita gli Stati a “ristabilire procedure di sbarco rapide in porti sicuri e a revocare le misure che impediscano di operare alle imbarcazioni delle Ong.
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite, rappresentato sall’italiano Matteo Grandi, ha ricordato come “gli Stati debbano intervenire con urgenza per ristabilire misure di soccorso efficaci nel Mediterraneo.
Grandi ha ribadito che le persone con una valida richiesta d’asilo o altre forme di protezione internazionale abbiano diritto di essere assistite e protette qualora non possano fare ritorno per motivi di sicurezza nei Paesi di origine.
Ma Salvini ha risposto ribadendo la linea della fermezza. “Altri sbarchi, altri soldi agli scafisti? La mia risposta all’Onu è No”, ha scritto il ministro su Twitter.
Ma non è Salvini l’unico responsabile dell’ennesino eccidio in mare.
Mentre centinaia di persone annegano nel Mediterraneo, l’Europa impedisce all’ultima nave civile rimasta a garantire soccorsi, la Sea Watch, di tornare subito dove serve. L’Unione Europea ha grandi responsabilità. A cinque anni e mezzo dal tragico naufragio del 3 ottobre a poche decine di metri dalle coste dell’isola di Lampedusa che causò la morte di 368 persone quel ‘mai poi’ risuonato a Bruxelles si è rivelato per quello che era: parole vuote e ipocrite.
L’Europea ha fallito nel definire una nuova politica comune per l’asilo e sull’immigrazione. I timidi tentativi della Commissione europea per riformare il regolamento di Dublino e per una distribuzione equa dell’accoglienza tra i paesi membri non ha prodotto risultati.
Siamo tutti consapevoli di una realtà: una soluzione “umana” al problema immigrazione non è una priorità dell’Unione.
È, e resta, “semplicemente” il dramma dei disperati che tentano invano di sbarcare sulle nostre coste in cerca di salvezza da guerra, crisi e catastrofi naturali.


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