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Se la Chiesa imparasse a seguire il suo Papa

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I politici amano sempre di più i sondaggi, e forse, quanto meno a fine anno, dargli un’occhiata può aiutare davvero a capire alcune tendenze anche fuori dall’angusto mondo della politica. Il 2018, per quanto riguarda appunto i sondaggi, ci saluta con questo dato sorprendente reso noto da Ilvo Diamanti con il Rapporto Demos su chi ha guadagnato e chi ha preso  fiducia da parte degli italiani, raffrontando i dati con quelli relativi a un decennio fa.  Dunque il Papa, insieme con le Forze dell’ordine, è in testa alla classifica della fiducia con il 72% dei consensi. La Chiesa cattolica, invece, registra un a dir poco fiacco 38%. Il dato diviene sorprendente se si guarda anche al raffronto con 10 anni fa: il Papa ha guadagnato ben 17 punti percentuali, mentre la Chiesa ne ha persi addirittura 20. Peggio di lei solo l’Unione Europea, che nel decennio ha dilapidato addirittura 25 punti di consenso.

La prima considerazione riguarda la strana abbinata di testa, papa e Forze dell’Ordine. Questo è probabilmente il miglior indicatore del duplice stato d’animo degli italiani: paura, curata dalle Forze dell’Ordine, e speranza, riconosciuta in Bergoglio. In lui come papa, ma anche in lui come papa della Chiesa in uscita, della Chiesa ospedale da campo, del papa che toccando i malati ci fa capire che chi se ne scosta vede la malattia, lui invece vede il malato. La più grande riforma di Jorge Mario Bergoglio, così poco descritta in quanto tale ma così vera, profonda, quella del papato, ha avuto dunque un consenso tale da portarlo a ritrovare una sintonia con le persone, nonostante la sua predicazione appaia contraddire alcune tendenze ritenute di fondo, come il pregiudizio nei confronti dei migranti, dei rom, degli ultimi,  che invece probabilmente è il prodotto della paura, quella paura che nel Rapporto Demos produce il consenso simbolico per le Forze Armate. Questa paura deriva anche da una distanza da chi ha governato, o sgovernato, il fenomeno migratorio e l’economia, cioè l’Europa e i gruppi dirigenti del passato. Questa critica è di tutta evidenza sorella, o gemella, della critica che porta al contenutissimo consenso per la Chiesa italiana, con il suo davvero preoccupante 38% di consensi in un Paese di fondo cattolico. Perché? Perché la Chiesa italiana non appare una “Chiesa in uscita”, non viene percepita come “ospedale da campo”, è una Chiesa ancora rigida, sovente distante, verticale e non orizzontale, una Chiesa nella quale il tratto affettuoso e premuroso del presidente Gualtiero Bassetti appare ancora un’anomalia piuttosto che una regola. Questa Chiesa non ha saputo seguire la riforma Bergoglio, quella che ha emendato l’errore del Concilio Vaticano I, quando in tempi di tutt’altra difficoltà non si seppe capire la fine del potere temporale come un dono ma come una sfida e si mirò a fare del papa non un uomo ma un infallibile, quasi di un ordine non umano. La riumanizzazione della figura del papa, che telefona, che ride, che veste senza anacronistici indumenti, che non ostenta, che va in giro in utilitaria, che sa parlare anche della vita, della quotidianità, ne fa un uomo che spiega la dizione di  “ vicario di Cristo”  perché agisce come Gesù, non perché si pretende superiore a noi. Se Gesù era alla portata di tutti, anche di storpi o di lebbrosi,  così il papa oggi è alla portata di tutti. Bergoglio è un grande riformatore perché è partito da sé, non dagli altri. In questo senso è infondata l’accusa di essere un destrutturatore, è la struttura che non sa stare al suo passo evangelico. Capendo la sua lezione, la sua riforma, la Chiesa imparerebbe a far capire che sa amare anche i peccatori:  ma  molti, o se si vuole alcuni, non riescono proprio a farlo percepire, a farlo sentire, e così non può essere amata in un momento in cui è così forte la paura, perché non si adegua ai tempi imparando a trasmettere speranza. Trasmette piuttosto l’idea di essere ancora un giudice severo, chiamato a giudicarci più che ad accompagnarci.

Questa distanza tra Bergoglio e la percezione della Chiesa non sarebbe ancora più ampia se il rapporto avesse chiesto conto anche dalla fiducia nella Curia Romana? Io credo di sì. La credibilità non dipende solo da ciò che si fa, e certamente la Chiesa italiana ha tentato di essere vicina agli italiani, ma anche da come lo si fa, e questa capacità di manifestare vicinanza, comprensione, curiosità, orizzontalità, non si è percepita. Così la gerarchia ecclesiale ha davanti a sé l’esito più evidente della riforma-Bergoglio: seguendola risalirebbe nei consensi e nella credibilità, adeguandosi nello stile e nella sincerità alla vicinanza di Jorge Mario Bergoglio e ritroverebbe consenso. Ma saprà farlo? Vorrà farlo? Il rischio è questo, non volerlo fare pensando che sia l’altro 72% quello da inseguire e raggiungere: il consenso che nasce dalla paura e al quale risponderebbe una Chiesa rigida, dura, che ci mette in guardia dal pericolo insito nel migrante, nell’altro, nel credente in altre religioni, nel non credente, o peggio ancora nell’agnostico. Un cristianesimo arroccato, arcigno, che allontana Dio dalla vita, lo rinchiude e custodisce fuori di essa, impenetrabile e irraggiungibile. Questa alternativa purtroppo viene presentata, viene sentita come valida da alcuni. E’ questa la grande battaglia nella quale però il modello incarnato da Papa Francesco va capito non come un modello suo, ma il vero modello della Chiesa, sfidato anche da chi si ostina a non vederne la portata epocale. Tutto sommato il 38% di consenso che ha la Chiesa oggi è il prodotto di quel che è riuscita a fare seguendo pur con tante resistenze l’esempio e la strada che le vengono prospettati da San Pietro. Si giocherà tra paura e speranza il 2019 della Chiesa, in Italia ma non solo. L’esempio americano non è incoraggiante. Una prestigiosa rivista britannica, il Catholic Herald, ha deciso di uscire con un settimanale anche negli Stati Uniti, dove la Chiesa è nella tormenta per la tragedia degli abusi sessuali. Ma la scelta, importante visto il gran numero e il peso politico acquisito dal cattolicesimo negli Stati Uniti, sembra andare nella direzione della paura, non della speranza. Loro negano con fermezza preconcetti antipapali, anzi, di più, biasimano i faziosi delle parti in conflitto. Ma nel primo numero della pubblicazione ci si è occupati proprio di questo, scrivendo:  “La più recente fazione cattolica a entrare in battaglia sono i Cavalieri Papali, i quali si vantano di una perfetta obbedienza a Roma…” E poi, chi altro c’è?  Poi, e questa sembra una sorpresa, c’è  il Team Francis.  “Il  Team Francis è un gruppo di professori e giornalisti che hanno investito molto nel pontificato di Papa Francesco e stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per aumentare il prezzo delle sue azioni. Per loro sventura la loro quasi-adorazione del pontefice (che deve metterlo in imbarazzo) sta avendo l’effetto opposto. Loro danno un connotato ortodosso anche ai gesti più controversi di papa Francesco, difendono per esempio l’accordo con la Cina con riferimenti ai concordati medievali. Di conseguenza irritano sia liberal che conservatori”. Basta poco per capire che il vocabolo  “ortodosso” è molto importante per il Catholic Herald. L’impresa editoriale è affidata a Michael Warren Davis.  “Non abbiamo paura di dire cose che possano imbarazzare il papa e non abbiamo paura di difendere l’ortodossia”: forse il papa ha paura di difendere l’ortodossia? Certo che se però si ritiene non cattolicamente ortodosso un accordo con la Cina che riconosce il vescovo di Roma capo della Chiesa in Cina il dubbio può venire. Dunque capire cosa si intenda per ortodossia è proprio importante per capire le idee di chi non ha paura di imbarazzare il papa.

Forse aiutano le idee di un contributore della pubblicazione, che pochi mesi fa ha scritto su The Spectator una serie di articoli sullo sbarco in Normandia: “In onore della Wehrmacht.” Titolo forte, chiaro, come il sommario: “La vera storia del D-Day è l’eroismo dei soldati tedeschi che erano sovrastati dal nemico ma combatterono nobilmente e fino alla morte.”  Ora Taki, all’anagrafe Panagiotis “Taki” Theodoracopulos, fondatore con Pat Buchanan di The American Conservative,  ha scritto un articolo per il Catholic Herald USA.  Qui la storia è che, rinnovando un tentativo in atto da tempo negli Stati Uniti, Taki fa sua la teoria che lo scandalo degli abusi ai danni di minori è in realtà lo scandalo di omosessualità clericale, un prodotto dello spirito liberale e modernista che avrebbe sequestrato il Concilio Vaticano II. E Papa Francesco? Il commento non lascia molto al super-partes: “nel suo breve pontificato ha riportato la Chiesa nella politicizzazione e nel relativismo morale.” Segue un elenco di accuse; ultima, ma non per gravità, “vuole le frontiere aperte.” Dopo quella sull’eroismo della Wehrmacht sembra aprirsi la riflessione sull’ortodossia dei muri. Che è tutto dire…


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