di Lucio Luca
Pierino è il nostro editore. Fino a che fai le cose come dice lui ti lascia in pace. Se alzi la testa e gli dici no, invece, ti stritola fino a quando decidi di mollare tutto e andartene. Rosa Maria, una delle mie colleghe più brave, è scappata via prima di finire in analisi: “Alessà, io non posso rischiare di lavorare dodici ore al giorno e spendere tutto lo stipendio in medicine. Me ne vado, dovresti farlo anche tu”. Me lo disse piangendo una sera in pizzeria, lasciare Cosenza per lei che l’ha raccontata come pochi altri, è stato un trauma. Però la invidio perché almeno lei ha avuto le palle per farlo. Non come me che sono sempre qui a sperare che cambi qualcosa? Ma cosa deve cambiare con padroni come Pierino?
Le condanne gli hanno fatto né caldo né freddo. Continua a gestire le sue cliniche, si dà del tu con burocrati e politici di grido, il giornale gli serve come strumento di potere. I potenti li pressa con articoli, campagne di stampa, direttori compiacenti. Se c’è da prendere di mira un sindaco o un assessore, basta chiamare un giornalista da quattro centesimi a riga, dirgli di picchiare duro e il gioco è fatto. Anche con me ci prova qualche volta. E qualche volta persino io la porcata gliela faccio. Ma non la firmo. Articolo anonimo. Tutti devono sapere che quella roba l’ha ordinata Pierino, che è il suo messaggio a qualcuno. E che il giornalista non c’entra nulla.
La firma è l’unica cosa che non potrà mai fottermi. Si è preso la mia vita, la mia anima, i miei sogni. Ma la firma no, quella non se la può comprare, la difenderò fino all’ultimo giorno.
Si è fatto un bell’ufficio qui in redazione per controllarci meglio, appena vede un titolo che non gli piace o qualche articolo un po’ troppo scomodo chiama il direttore e lo fa togliere. Ogni tanto ci prova direttamente con il cronista di turno: “Mu fa vida su testu?”. Fammi dare un’occhiata, insomma. E se ti rifiuti, passa dal caporedattore o se serve dal direttore, tu ti sei fatto la fama di rompipalle e da un giorno all’altro ti ritrovi trasferito a cento chilometri di distanza, senza rimborsi, con un mutuo da pagare, una moglie che piange e quattro centesimi a riga per campare.
Ecco, questa è la mia vita da vent’anni a questa parte. Ed è la vita di decine, centinaia di colleghi che sono passati da questo giornale, ma anche da altri. Perché non è che dalle altre parti si lavori poi tanto meglio. In Calabria funziona così, prendere o lasciare. E io, prima o poi, lascerò. Come Rosa Maria, come Chiara, come tanti altri che non ce l’hanno fatta più. Magari me ne andrò davvero in Canada oppure mi metto a tagliare la legna in Sila. L’ho detto a mia moglie, e si è pure incazzata: che peccato che sia diventata così fredda, anche con lei ho sbagliato tutto. La perderò, è sicuro. Spero solo di non perdere la bambina, l’unica cosa buona che ho fatto nella mia vita.
L’altra sera non riuscivo a dormire e sono andato a riprendere il diario. Ho un diario, sì, ci scrivo tutto quello che mi passa per la testa. Le cose che succedono al giornale, le cifre che spendo, quel conto corrente che non riesco mai ad alimentare come vorrei, le liti con la mia donna e i soprusi che mi tocca sopportare da capi e politici. Sono andato a sfogliare le pagine di qualche anno fa: è incredibile come la mia vita sia cambiata. In peggio. Mi ero appena comprato la casa, avevo firmato un mutuo pesante ma lo stipendio mi consentiva di farlo. Avevo messo su una famiglia che mi adorava. Non mi mancava niente, facevo bene il mio lavoro e riuscivo persino a divertirmi. Poi, pagina dopo pagina, avevo cominciato ad annotare l’ansia di mia moglie, le prime vere liti con lei, la paura che tutto quello che ero riuscito a creare si sarebbe prima o poi disintegrato. Ho cercato di non pensarci troppo, è solo un momento in cui vedo tutto nero mi sono detto. Alla fine ho persino sorriso: era il 31 dicembre, la solita ultima pagina delle agende, quelle dei buoni propositi per l’anno nuovo: “Domani smetto di fumare” avevo scritto. Naturalmente non ci sono riuscito. Anzi, per essere sincero, non ci ho nemmeno provato.
(4. continua)
Da mafie