Calabresi e Di Maio non hanno pari diritti. Il secondo può essere approssimativo, il primo no

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Sono le querele per diffamazione importanti, quelle che coinvolgono giornalisti famosi e presunte parti offese ancor più famose e potenti, a dare la cifra di cosa sia il fenomeno delle azioni legali intimidatorie in Italia e quale tipo di ostacolo all’informazione rappresenti questo tipo di atteggiamento, legittimo nel nostro ordinamento giuridico.

Lo scambio di battute in tv tra Luigi Di Maio, vice presidente del Consiglio in quota al Movimento Cinque Stelle, e Mario Calabresi, direttore di Repubblica, ha offerto lo spaccato di cosa succede ai cronisti e ai direttori responsabili di testate di informazione che trattano notizie scomode per il potere (economico, politico o criminale che sia). Succede questo: secondo i dati ufficiali del Ministero della Giustizia, resi noti da Ossigeno, ogni anno il 92 per cento dei 5900 accusati di questo reato vengono prosciolti, il 71 % in fase di indagini preliminari. Numeri che parlano da soli e che indicano come la quasi totalità delle querele ai giornalisti sia una forma di pressione indebita che causa meno danni in grandi giornali (come Repubblica) che hanno una organizzazione amministrativa e una tutela legale che consente loro di difendersi. Ma diventa un dramma nelle realtà pccole. Tra il momento in cui viene presentata la querela e quello in cui interviene l’ordinanza del gup (di archiviazione o rinvio a giudizio ) passano in media sei anni, durante i quali la denuncia resta sulla testa del giornalista come una spada di Damocle. Quando l’autore dell’articolo viene prosciolto le spese giudiziarie non vengono attribuite a nessuno, dunque neppure all’autore della querela infondata e nemmeno nel caso in cui si arrivi all’archiviazione su richiesta del pm. Stessa cosa per le sentenze di assoluzione.

Dunque denunciare un giornalista è una cosa facile facile, che non costa nulla a nessuno. E si può fare anche in modo molto approssimativo, al limite del paradosso, come nel caso della querela contro Mario Calabresi che reca come destinatario Luigi Calabresi, il padre del giornalista morto molti anni fa in circostanze peraltro entrate nella Storia di questo Paese e che dunque dovrebbero essere note anche a coloro che hanno solo nozioni minime di storia contemporanea italiana. Ma, evidentemente, in questo caso (come in altri) hanno prevalso la velocità e la leggerezza che possono accompagnare la denuncia per diffamazione contro un giornalista. Il viceministro Luigi Di Maio nella discussione con Calabresi ha anche utilizzato, per controbattere, un argomento che sarebbe condivisibile. Questo: “Se vuole le elenco le notizie che voi date in modo approssimativo”. Bene. Contro le eventuali notizie imprecise pubblicate dai giornali gli interessati hanno diritto di replica, di rettifica, di verifica delle responsabilità penali (querela per diffamazione), di risarcimento in sede civile. Di contro il giornalista e il direttore che vengono denunciati  per aver scritto il falso, qualora dimostrino che invece era vero, continente e di interesse pubblico non hanno alcuno strumento per rivalersi contro accuse ingiuste e/o approssimative.  Questo rapporto palesemente sbilanciato potrebbe essere modificato mettendo almeno sullo stesso piano il giornalista e coloro che presentano querela. Ma servirebbe una modifica della legge attuale. E chi la deve modificare? La maggioranza di cui fa parte Luigi Di Maio.
Buona fortuna al direttore Calabresi (Mario) e a quelli come lui che sono tanti e combattono ogni giorno contro querele ridicole.


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