La Corte di Cassazione ha posto la parola fine – dal punto di vista giuridico – sulla vicenda Aemilia, e cioè sul più grande processo per mafia che si sia mai celebrato al Nord. I Giudici della Suprema Corte hanno, infatti, sostanzialmente confermato l’impianto accusatorio della Procura della Repubblica di Bologna, che ha ritenuto necessario contestare l’articolo 416 bis (e cioè l’associazione di stampo mafioso) a numerosi soggetti appartenenti – come ormai evidente – all’associazione criminale nota come ndrangheta. Al di là delle pur necessarie considerazioni di carattere giuridico circa la sussistenza di una autonoma organizzazione criminale ndranghetista in Emilia Romagna, il processo emiliano ha visto la presenza attiva della stampa, e non soltanto nella fase del racconto del processo.
Numerosi giornalisti – Sabrina Pignedoli, persona offesa e parte civile, fra questi – avevano raccontato quello che stava accadendo ben prima che il processo iniziasse e ben prima che le inchieste della magistratura facessero luce su quanto stava avvenendo. E il ruolo della stampa non si è esaurito – e già non sarebbe certo poca cosa – soltanto in una attività di inchiesta di assoluto valore e di enorme importanza ma si è cristallizzato nel processo grazie alla presenza attiva dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna e dell’Assostampa emiliana che hanno voluto essere parte (civile) del processo, e che ho assistito nel corso dello stesso. La presenza dell’Ordine e dell’Assostampa ha significato molto: anzitutto la piena vicinanza ai giornalisti minacciati (Gabriele Franzini e Sabina Pignedoli). Ma non soltanto. La loro presenza ha significato la strenua difesa del ruolo della libera stampa in una Democrazia: le organizzazioni criminali, infatti, con le loro intimidazioni mirano al silenzio della stampa, un silenzio che negli anni la libera stampa ha pagato a caro prezzo, a volte anche con il sangue di coraggiosi giornalisti che hanno immolato la propria vita per raccontare il potere mafioso. Un silenzio che uccide la Democrazia, perché impedisce ai cittadini – e alla pubblica opinione – di conoscere i fatti, e dunque di diventare opinione pubblica informata e quindi consapevole. Come il Washington Post ci ricorda – ogni mattina sotto al nome della testata – è nell’oscurità che muore la Democrazia. Ecco perché nel processo Aemilia l’Ordine dei Giornalisti e l’Assostampa hanno, con la loro presenza, evitato che l’oscurità calasse sull’Emilia Romagna.
Valerio Vartolo – difensore dell’Ordine dei Giornalisti e dell’Associazione della Stampa emiliana