La vicenda del Roxy Bar esce dai testi di Vasco Rossi e entra nel vivo della resistenza civile contro la mafia. Il fatto si riferisce alla distruzione del bar nella periferia romana da parte di appartenenti ai Casamonica, con violenze rivolte a una donna disabile che non voleva sottomettersi alla loro prepotenza. C’è un’altra donna che non si rassegna, raccoglie i frantumi di tazze e bicchieri e denuncia tutto: è la moglie del titolare, entrambi romeni.
Ora il processo contro quei mafiosi si sta celebrando e la paura delle parti mostra la necessità di una Stato rassicurante e presente, perché il Roxy Bar è diventato un simbolo. Se le istituzioni si ritirano – come ha fatto il Comune di Roma non costituendosi parte civile – e lascia di nuovo i protagonisti di questa storia in balìa della vendetta dei mafiosi, si rafforzerà l’idea che la mafia è più forte della legge e chi si ribella finisce sempre male. Se invece quel piccolo-grande bar sarà protetto dalle forze dell’ordine e animato dalle associazioni di quartiere come territorio strappato alla prepotenza, diverrà l’esempio che reagire è possibile, perché lo Stato non abbandona chi pretende dignità e legalità.
E incoraggerà altri a non subire più le angherie dei violenti che confidano nell’indifferenza delle istituzioni