BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Ritorno a casa loro – Dal Senegal in Gambia (giorno 4)

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Siamo ancora in Senegal, diretti verso il Gambia quando ho come una “visione”: un gruppetto di bambini vestiti di bianco, dal fazzoletto sulla testa alla tunica, camminano sul ciglio della strada. Le lancette dell’orologio sembrano tornare indietro veloci, trasformandosi in clessidra. Eppure siamo ancora ne l ventunesimo secolo… Mi dicono che sono i figli maschi appena circoncisi che chiedono l’elemosina. Gli diamo così qualche moneta che prontamente consegnano ad un uomo adulto.
Ci stiamo dirigendo dal Senegal in Gambia con Seny, capo del progetto in Senegal, Youssuf e Ousman, due giovani gambiani arrivati in Italia dalla Libia. Tornano per vedere se si può aprire un’attività agricola o commerciale e aiutare altri ragazzi ad avere una chance nel proprio paese.
Arrivati ad un passo dal confine, veniamo fermati dalla polizia, tenuti per ore in gendarmeria e salvati dall’italico passaporto. Il commissario è stato a fare un corso di addestramento di  “scena del crimine” a Roma e la sorella ha vissuto in Italia dove ha una figlia di 20 anni.
Fatima arriva poco dopo: è alta il doppio di me, parla in perfetto italiano senza sosta e continua a fare uno strano gesto con una mano sfiorandosi il viso. Si trova in Senegal dove tiene marito, poliziotto pure lui. Più che prigionieri del gendarme, siamo prigionieri della sorella che ci racconta tutta la sua vita in poche ore.

Prima di lasciarci andare, ci avverte: “Attenti in Gambia non sarà così: lì è meglio tenere pronte le mazzette per i check Point”.
Il Gambia è una lingua di terra circondata dal Senegal e tagliata dall ‘omonimo fiume che sfocia nel mare Atlantico. Una posizione che lo ha reso appetibile prima per i trafficanti di schiavi  in Europa e in America, ora per quelli di droga. Qui la povertà la tocchi non appena passi la sbarra del confine. Corrompere la polizia è una prassi consolidata. E così facciamo noi ad ogni posto di blocco con le mazzette pronte. Solo al primo ingresso non ci chiedono soldi ma un aiuto per entrare in Italia con visto turistico.
“Non sono mai uscito dall’Africa. Non mi danno il permesso e vorrei tanto poter visitare l’Europa” . E se per un poliziotto gambiano è difficile avere il visto per l’Europa figuriamoci per un giovane che come Yussuf che a 16 anni ha lasciato casa e affetti perché voleva studiare e conoscere il mondo!
Tra una mazzetta e l’altra, ci fermiamo KetutaKounda, il villaggio dello zio di Ousman. Qui veniamo circondati da decine e decine di bambini scalzi, vestiti di un nulla che riesce ad essere anche meno del nulla. Sono figli, nipoti, nipoti dei nipoti dello zio di Ousman che ci mostra orgoglioso gli ultimi due arrivati. Due gemelli di due settimane e cinque giorni adagiati su un materasso posato per terra sotto ad un albero. La mamma accanto a loro me ne mette uno in braccio mentre il padre mi sussurra.
“Lui è il maschio, si chiama Adham.  Se vuoi è tuo ….”

Me lo porterei davvero Adham e pure la femmina Fatima mi porterei. Ma – accidenti – non posso!
Si è fatto buio. Sono passate 12 ore dalla nostra partenza da Tambacounda e abbiamo fatto solo 300 chilometri. Dobbiamo ancora attraversare il fiume per raggiungere il nostro hotel nella capitale Banjoul e la fila ai traghetti è interminabile. Ma dopo un’ora di trattative, con l’ ennesima mazzetta, ci fanno saltare la fila: il nostro traghetto si chiama …. Kunta Kinte.
Quando entro esausta nella confortevole camera dell’hotel di Banjoul mi si stringe il cuore in una morsa pensando a quei bambini scalzi di Kekutakunda e al neonato che il padre voleva regalarmi. E allora capisco sempre di più perché i giovani più svegli e forti sognano quello che per i nostri nonni era l’ America


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