C’è un lungo filo nero che lega il decreto di legge approvato di recente dal Consiglio dei Ministri, e recante Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale, immigrazione e sicurezza pubblica, alle norme che sono in vigore in Italia dall’aprile 2017, dopo la conversione in legge delle Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale e le Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città, altrimenti definiti Decreti Minniti-Orlando. Come si ricorderà, il primo dettato normativo ha rafforzato il potere di ordinanza dei sindaci, introducendo nuove modalità per il «contrasto dei fenomeni che possono influenzare negativamente la sicurezza urbana», il secondo provvedimento di legge, invece, ha introdotto una serie di misure «volte all’identificazione dei cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea e il contrasto dell’immigrazione illegale», istituendo i centri di permanenza per il rimpatrio, i Cpr, «allo scopo di rendere più veloci i rimpatri», ed eliminando il doppio grado di giudizio nel procedimento alla base della domanda di protezione internazionale; di fatto, stravolgendone la disciplina, introducendo, così, un vero e proprio diritto speciale valido per i soli richiedenti asilo. Già allora, diversi giuristi avevano avvertito del rischio di incostituzionalità per alcune misure previste dal pacchetto di norme Minniti-Orlando. La stessa associazione nazionale magistrati (Anm) aveva messo in guardia «da un attacco al diritto ad un giusto ed equo processo», contro il pericolo di una «tendenziale esclusione del contatto diretto tra il ricorrente e il giudice per tutto l’iter del giudizio». Di recente, poi, la procura generale presso la Corte di Cassazione aveva [avuto modo di rilevare, a seguito] di un ricorso presentato dalle associazioni A buon Diritto, Asgi, Arci, e Giuristi democratici, la legittimità costituzionale del Decreto Minniti/Orlando che riformava il processo in materia di richiesta d’asilo e, pertanto, il Procuratore della Corte di Cassazione, Immacolato Zeno, aveva chiesto ai giudici della prima sezione civile di non rinviare la riforma alla Corte Costituzionale».
Antonello Ciervo è l’avvocato dell’Asgi, l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che il 28 giugno scorso ha perorato davanti agli “ermellini” la richiesta di incostituzionalità. Nella sua arringa, allora, disse: «la riforma Minniti produce una grave compressione del potere giurisdizionale, privando il giudice della possibilità di ascoltare il profugo e sentire il racconto delle condizioni dalle quali fugge». A due settimane dall’approvazione in Cdm del decreto Salvini, in cui si prevede, tra le altre cose, la possibilità per i richiedenti asilo di essere trattenuti negli hotspot al fine dell’accertamento dell’identità fino a un massimo di 30 giorni, che ha escluso la possibilità per i richiedenti asilo di essere iscritti nei registri anagrafici – limitando, inoltre, l’accesso allo Sprar (sistema ordinario per l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati) ai soli minori o titolari di protezione internazionale; infine, che ha previsto l’estensione del daspo urbano già introdotto dal decreto sulla sicurezza Minniti-Orlando, ora, dunque, a margine di un decreto, quello Salvini, che introduce tutta una serie di altre misure liberticide, l’avvocato Ciervo spiega a Confronti:
«dal punto di vista giuridico-formale non si può dire che ci sia una continuità tra i decreti Minniti-Orlando e il provvedimento approvato all’unanimità lunedì scorso in consiglio dei ministri dal governo Conte».
E tuttavia, racconta Antonello Ciervo: «C’è una continuità in termini di progetto politico, nel senso che i decreti Minniti Orlando hanno aperto la strada alla recrudescenza di Salvini. Perché nel momento in cui si è iniziato a derogare alle garanzie fondamentali delle persone, in questo caso i richiedenti asilo, automaticamente, colui che è venuto dopo, cioè Salvini, non poteva che proseguire su quella strada». Ma c’è di più. Dice Ciervo: «c’è un profilo da considerare, ad esempio, e che ci parla di questa continuità politica, ed è quello che riguarda gli hotspot. Nei decreti Minniti-Orlando i centri hotspot furono istituzionalizzati, in questa nuova previsione normativa si prevede il trattenimento dei richiedenti fino a 30 giorni, ai soli fini dell’identificazione».
E ancora:
«Se consideriamo solo quanto prevede la norma che introduce la possibilità della revoca della cittadinanza oppure la sospensione della valutazione della domanda di asilo nel caso in cui lo straniero sia sottoposto a procedimento penale anche per reati comuni, ci possiamo rendere conto che stiamo andando verso l’introduzione di un nuovo diritto, di tipo speciale, che viola radicalmente la legalità costituzionale».
Perciò, prosegue l’avvocato dell’Asgi,
«siamo nel momento più basso, dal punto di vista del diritto e delle garanzie individuali fondamentali, di tutta la storia repubblicana. Come ha detto in questi giorni l’Anpi, siamo di nuovo in un clima da apartheid, 80 anni dopo la promulgazione delle leggi razziali».
Dunque, c’è un filo nero che lega i provvedimenti che portano il nome degli ultimi due ministri degli interni, il democratico Marco Minniti e il leghista Matteo Salvini. D’altronde, nel giugno scorso, lo stesso Ministro Salvini così aveva commentato: «è stato un discreto lavoro, quello fatto da Marco Minniti, perciò lavorerò per rendere ancora più efficaci le politiche di controllo, di allontanamento, di espulsione». Ciò nonostante, proprio nelle scorse ore, l’ex ministro democratico si smarcava,
«perché altri paesi hanno fatto in anni passati come sta facendo l’Italia, ma a un certo punto si sono svegliati e hanno visto dei loro figli che facevano attentati nelle loro capitali. E con queste scelte stiamo mettendo una bomba a orologeria sotto la nostra convivenza».
Ma quel che è certo è che il decreto Salvini è frutto di un preciso ordine del discorso. «Del lavoro che ho cominciato al Viminale, figlio di un metodo, di un disegno, e di una certezza. Che sulle questioni della nostra sicurezza, si chiamino emergenza migranti, terrorismo, reati predatori, incolumità e decoro urbano, legittima difesa, non si giocano le prossime elezioni politiche. Ma il futuro e la qualità della nostra democrazia». Era un giorno di maggio del 2017. A parlare così era Marco Minniti, ministro degli interni e uomo di sinistra, come ama definirsi.