Lo spettacolo, tratto dall’omonimo film di Rainer Werner Fassbinder Un anno con 13 lune, racconta gli ultimi giorni di vita di Elvira, una transessuale dalla vita difficile. La sua sofferenza sembra già partire dalla nascita, quando da bambino viene abbandonato dalla madre in orfanotrofio. Il suo nome maschile, Erwin, viene evocato molte volte durante la rappresentazione, come se il suo dolore partisse dalla lacerazione dell’identità sessuale, non compresa da chi le sta vicino. Per esempio la moglie, con la quale ha ormai un rapporto di sorellanza, quando la vede vestita da uomo si mette a ridere. Elvira vorrebbe ritornare al passato, riparare le colpe e godere dei bei momenti, ma ormai è troppo tardi.
In questo spettacolo, come nel film di Fassbinder il corpo di Elvira ha un ruolo fondamentale. Se nel film appare sfatto e gonfio in questa messa in scena al contrario è molto magro. Il risultato però è lo stesso, si tratta di un corpo-martirio, abusato dall’alcol e dalla prostituzione. Un corpo ostentato nella sua nudità che proprio a causa di questa eccedenza semiotica risulta un corpo-assenza, percepito come mancanza costante.
A dispetto della giovane età del regista e degli attori, lo spettacolo risulta ben strutturato e maturo. Ma non dovrebbe stupire, perché lo stesso Fassbinder quando ha fondato il gruppo “Antiteater” non aveva nemmeno 25 anni. È evidente che Alù sia conoscitore ed estimatore di tutta l’opera di Fassbinder. Sono vari i riferimenti ai suoi film, dalla scenografia con orinatoi pubblici alla canzone Each man kills the thing he loves cantata da Jeanne Moreau in Querelle de Brest.
La scelta del regista è stata quella di non optare per una messa in scena realistica, ma per una più sospesa. Sogni, ricordi e realtà si mescolano sul palco e non è importante riconoscerli. Ciò che conta è credere all’illusione teatrale e lasciarsi trasportare dall’emozione. Quello a cui si assiste infatti è la mostrazione del magma interiore di Elvira, che la porterà al tragico epilogo.
La regia è essenziale e ritmata. Non ci sono tempi “morti”, tranne quelli ben studiati che accompagnano la sofferenza e la solitudine del protagonista, come nel caso del toccante monologo in cui ci racconta il suo personale concetto di felicità, associato al masochismo.
Testi: Rainer Werner Fassbinder
Traduzione e adattamento: Letizia Russo
Regia: Carmelo Alù
Con Carmelo Alù, Grazia Capraro, Gabriele Cicirello, Emanuele Linfatti, Domenico Macrì, Adalgisa Manfrida, Eugenio Mastrandrea, Riccardo Ricobello, Zoe Zolferino
Scene: Dario Gessati
Costumi: Gianluca Falaschi
Luci: Pasquale Mari
Direttore di scena: Camilla Piccioni
Produzione: Compagnia dell’Accademia- Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”
Al Teatro India lo spettacolo della Compagnia dell’Accademia, frutto di una collaborazione tra il Teatro di Roma e l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’amico”.