Oggi Andrea Rocchelli, se una raffica di colpi non lo avesse ucciso 4 anni fa in Ucraina, avrebbe compiuto 35 anni.
“La mia passione è fotografare, mi limito a fare degli scatti e a lasciarmi sorprendere da ciò che la macchina riesce a catturare, senza pregiudizi” diceva del suo lavoro che lo aveva portato a essere uno dei fotoreporter di punta dell’agenzia di stampa Cesura che all’indomani della sua uccisione insieme al giornalista e dissidente russo Andrej Mironov, il 24 maggio 2014,lo definiva così “Andy era una goccia di purezza in un mare di rumore e di scorie. Era un esempio di integrità, correttezza e dedizione costante per noi, che lo amavamo e lo amiamo come un fratello: il fratello minore che dimostra più grinta di te, e ti costringe a fare lo sbruffone per stare al passo. Lui però sbruffone non lo era, era un giornalista onesto”.
Un giornalista ucciso vigliaccamente e per il quale Articolo 21, insieme ai genitori Elisa e Rino, all’avvocato Alessandra Ballerini e alla Federazione nazionale della stampa guidata da Beppe Giulietti (tra le parti costituitesi al processo in corso a Pavia) continua a chiedere verità e giustizia.
Proprio la richiesta della Fnsi e dell’Assostampa Lombarda, accolta dalla Corte d’Assise di Pavia, ha rappresentato non solo una decisione senza precedenti ma anche un’azione risoluta che non potrà essere elusa.
Un riconoscimento “innovativo”, come ha evidenziato Giulietti ricordando che Rocchelli non era iscritto all’ordine dei giornalisti né al sindacato. I giudici hanno dunque affermato il principio che con il suo assassinio è stato leso l’articolo 21 della Costituzione e il diritto di informare e di essere informati.
Questa decisione era quanto tutti noi di Articolo 21 auspicavamo. Sin dal primo momento abbiamo sostenuto la battaglia per la ricerca di verità e giustizi di Elisa e Rino Rocchelli, i genitori di Andy, rilanciando da questo blog l’appello che nell’ottobre 2016 avevano affidato a L’Espresso.
Ho personalmente conosciuto e apprezzato la loro immensa dignità. Entrambi, più volte, hanno tenuto a sottolineare che né loro né la sorella di Andy, Lucia, né la sua compagna Mariachiara, erano animati da spirito di vendetta. Il loro obiettivo è sapere come sia andata realmente, conoscere la dinamica dei fatti. È con l’avvio del processo si spera che si riesca a giungere a una verità giudiziaria oltre che storica.
Chi scrive continuerà a seguire le udienze e a suppotare i genitori di Andy. Furono proprio loro, durante uno dei dolorosi viaggi in Ucraina, a riuscire in quello che le autorità locali in un anno non erano state in grado di fare: recuperare l’ultima scheda di memoria di Andy, quella su cui erano impresse anche le immagini dell’attacco finale.
Andrea Rocchelli ha continuato a scattare fino a un secondo prima di morire.
Nessuno più del fotoreporter di Pavia era riuscito a raccontare la guerra attraverso gli occhi dei civili, nascondendosi con loro nelle cantine e nei bunker sotterranei improvvisati alla meno peggio per sfuggire alle bombe.
“Andy sapeva prima di ogni cosa immedesimarsi nella vita degli altri”, ama raccontare mamma Elisa orgogliosa del lavoro di suo figlio, morto per raccontare le esistenze dilaniate di questi civili inermi, ostaggi di una guerra non loro.
Con l’avvio del processo, dopo l’individuazione e la cattura del principale imputato, il 28enne italo-ucraino Vitaly Markiv, è stato compiuto un primo importante passo.
Sarà un dibattimento lungo e non facile che dovrà confermare la tesi accusatoria dell’inchiesta sui responsabili di quanto accaduto nel 2014 sulla collina Karachun, dove si stavano consumando gli scontri tra l’esercito ufficiale ucraino e le milizie filo-russe.
Markiv è il primo accusato di quell’agguato. Nato in Ucraina, ma da diversi anni residente nel nostro paese, da oltre tre se ne era andato per combattere come volontario, prima a Kiev durante gli scontri in Piazza Maidan, poi nel Donbass contro gli indipendentisti russi.
Ovviamente non era solo.
Il gip che ne ha convalidato l’arresto, su richiesta della Procura di Pavia, lo aveva scritto chiaramente nell’ordinanza che ne aveva disposto la cattura: gli omicidi di Rocchelli e Mironov furono perpetrati “in concorso con altri soggetti allo stato non identificati, militanti autonomi e irregolari liberamente affiancatisi alle milizie regolari dell’esercito ucraino”. Mercenari impiegati nella repressione dei moti separatisti sviluppatisi nella regione ucraina del Donbass nel marzo 2014.
Per chi scrive, e per tutti coloro che credono nella libertà di informazione e nel diritto di poter raccontare anche i conflitti più pericolosi senza per questo essere vittime di attacchi, è un dovere continuare a illuminare la battaglia di Elisa e Rino, capaci di trasformare il dolore in ricerca di verità e giustizia, non solo per il figlio, ma per tutte le morti ancora senza giustizia.