Cristina Genesin, una delle tante giornaliste perquisite e sotto inchiesta per aver fatto solo il loro lavoro

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“Ciao, sono Cristina Genesin (a destra nella foto, ndr) una cronista di giudiziaria e durante il viaggio per venire qui ho preso appunti”. Poi guarda il foglio fitto di note, è un vizio dei giornalisti, e comincia a raccontare cosa le è accaduto la mattina del 12 giugno 2018, quando cinque finanzieri del Gico sono piombati a casa sua e le hanno chiesto di consegnare tutti gli strumenti con cui lavora, telefono, memorie del pc, hard disk; dice che le hanno dato 30 secondi soli per chiamare l’avvocato e che per tre ore è stata, di fatto, privata della sua libertà e che più tardi gli stessi finanzieri sono andati in redazione a Il Mattino di Padova e la scena si è ripetuta; adesso è accusata di favoreggiamento dell’associazione di stampo mafioso denominata “Mafia” scritto con l’iniziale maiuscola nel provvedimento del magistrato inquirente. Sì, proprio lei che ha pubblicato la foto di Salvuccio Riina, figlio del più noto Totò, mentre da sorvegliato speciale si incontrava con pregiudicati di Padova. Quelle foto le ha pubblicate mesi prima del blitz ed erano state scattate nel 2013.

Il racconto di Cristina era surreale nella sala riunioni della Fnsi, nel giorno in cui si teneva la conferenza stampa di solidarietà a Salvo Palazzolo, l’ultimo dei giornalisti perquisiti per aver pubblicato la notizia dell’udienza preliminare a carico di tre poliziotti accusati di aver depistato le indagini sulla strage Borsellino. Il titolo della conferenza stampa voluta dal Presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, e dal segretario Raffaele Lorusso, diceva già molto “Il diritto di cronaca non si perquisisce”, ma le parole di Cristina hanno detto di più. Ad una platea incredula, nonostante fosse composta di soli giornalisti, tutti consapevoli di come il mestiere del raccontare la cronaca giudiziaria sia diventato un percorso ad ostacoli. Eppure sentire in diretta cosa può comportare scrivere verità giudiziarie scomode è un’altra cosa. Tutti l’avevamo già letta questa storia. Tutti avevamo già espresso solidarietà a quella collega e a molti altri che hanno vissuto vicende analoghe, diciamo uguali. Eppure mentre lei leggeva gli appunti, per non tralasciare nulla di saliente ed essere precisa, chirurgica come i cronisti di giudiziaria sanno di dover essere, la platea era attonita. Spettatori non casuali: rappresentanti dell’Ordine dei Giornalisti, di stampa Romana, Ossigeno, della Rai, di Ucsi e No bavaglio, giornalisti d’inchiesta come Attilio Bolzoni, Maurizio Torrealta, Fabrizio Feo, Paolo Borrometi, Federica Angeli. Nonostante tutta l’esperienza e la consapevolezza del mestiere stavano ascoltando un racconto di non ritorno, la prova concreta che la battaglia per la libertà di stampa adesso non è rinviabile ed è più difficile.  Soprattutto perché Cristina Genesin è, purtroppo, una dei tanti giornalisti perquisiti e sotto inchiesta per aver fatto solo il loro lavoro, pubblicare una notizia di interesse pubblico rilevantissimo.

Da questa storia non ci si può staccare. Grazie Cristina e grazie a Rosaria Federico che ha raccontato la sua storia incredibile fatta di telefoni sequestrati per un’inchiesta sull’omicidio Vassallo. E grazie a chi non è potuto intervenire direttamente per ripercorrere l’odissea di una violazione palese della libertà di informare. Serviva a tutti noi ascoltare in diretta quegli appunti. Il 19 ottobre a Padova ci sarà un’iniziativa per ribadire quali sono le emergenze dei cronisti in Italia. Il racconto continua.

Le interviste a Cristina Genesin e Rosaria Federico su Rainews24


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