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Le scorie nucleari di Fukushima potrebbero essere anche in Italia?

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La ‘ndrangheta è l’unica organizzazione criminale in Italia ad essere coinvolta nello smaltimento illecito di rifiuti radioattivi e questo a partire dagli anni ’80. E’ ormai accertato giudizialmente che navi con rifiuti radioattivi furono affondate al largo delle coste italiane. Alcune navi sarebbero state inviate in Somalia e in altri paesi in via di sviluppo con rifiuti tossici, compresi i carichi di rifiuti radioattivi, che sono stati affondati con la nave o seppelliti sulla terraferma. Lo smaltimento illegale dei rifiuti radioattivi è diventato un’attività molto lucrosa per i gruppi della criminalità organizzata in Italia.

La relazione della commissione parlamentare per i rifiuti del 1995 alla fine dei lavori ha ritenuto possibile l’esistenza del traffico nazionale e internazionale di scorie radioattive, gestito da lobby economiche e criminali che si ritiene possano operare anche con l’approvazione di soggetti istituzionali appartenenti a paesi e governi europei o internazionali. La ‘ndrangheta è stata accusata dal pentito Francesco Fonti, ex membro della predetta associazione mafiosa, di aver affondato  almeno trenta navi cariche di rifiuti radioattivi. Nel 2005, Fonti con le sue dichiarazioni ha portato a indagini approfondite sui racket di smaltimento dei rifiuti radioattivi, coinvolgendo Giorgio Comerio e la sua società di smaltimento, la Odm (Oceanic Disposal Management).

Legambiente ha fornito all’autorità giudiziaria tutti i dati raccolti dal 1994 in merito alla scomparsa di almeno quaranta navi nelle acque del Mediterraneo. Per oltre due decenni, i pubblici ministeri italiani hanno esaminato oltre trenta sospetti affondamenti di acque profonde. Si sospetta che gli industriali italiani e stranieri abbiano agito in combutta con la ‘ndrangheta, per smaltire rifiuti radioattivi provenienti anche dalla Russia dopo il disastro nucleare di Chernobyl. Secondo Fonti, un manager dell’ENEA ha pagato i clan calabresi per sbarazzarsi di rifiuti radioattivi provenienti da Italia, Svizzera, Francia, Germania, Russia e Stati Uniti, con la Somalia come destinazione, dove i rifiuti sono stati seppelliti dopo la corruzione di politici locali. Sia Fonti che il gruppo ambientalista Legambiente hanno affermato che le navi sono state inviate in Somalia e in altri paesi in via di sviluppo come il Kenya e lo Zaire con carichi tossici, che sono stati affondati con la nave o seppelliti sulla terraferma.

Legambiente sostiene che i gruppi ribelli locali ricevettero armi in cambio della ricezione delle navi dei rifiuti. Fonti sostenne che la giornalista televisiva italiana Ilaria Alpi e il suo cameraman Miran Hrovatin sono stati assassinati nel 1994 in Somalia perché avevano visto arrivare rifiuti tossici a Bosaso, in Somalia. Nel 2006, l’ONG somala “Daryeel Bulsho Guud”, con accesso ai diversi clan in guerra, ha condotto un’indagine e identificato “rifiuti nucleari e chimici” in otto aree costiere. Fatte queste premesse a noi sorge un dubbio angosciante: sono passati sette anni dal disastro nucleare di Fukushima e da allora ci sono state molteplici accuse sul ruolo svolto dalla mafia giapponese (la Yakuza) nel processo di ricostruzione e di ricollocamento delle scorie nucleari.

L’affare miliardario riguarda soprattutto il trattamento delle acque radioattive e i circa trenta milioni di metri cubi di rifiuti atomici. Il 31 gennaio scorso, la polizia giapponese ha arrestato un capo della yakuza inizialmente con l’accusa di aver inviato illegalmente lavoratori nella zona del disastro. Secondo la polizia, Yoshinori Arai è il capo di una banda criminale che opera nel nord del Giappone.

La sua organizzazione è affiliata alla cosca di Sumiyoshi-kai, il secondo sodalizio criminale più potente di tutto il Giappone con circa quindicimila componenti. Arai, inizialmente accusato di aver inviato lavoratori di giornata a un progetto di decontaminazione nucleare nella città di Date, nella prefettura di Fukushima, una volta interrogato sembra abbia cominciato a parlare anche di rapporti con le altre mafie mondiali circa il ricollocamento delle scorie nucleari. Evidenzia come la ricostruzione delle regioni devastate dal disastro nucleare e il ricollocamento dei materiali radioattivi – e dai miliardi di yen coinvolti – sia molto allettante per la mafia giapponese e pone l’accento sul fatto che la Yakuza da sola non potrebbe riuscire nell’impresa criminale.

La possibilità di lucrare è arrivata al momento giusto per la Yakuza, che negli ultimi anni ha avuto momenti difficili. Hanno perso un’enorme quantità di denaro a seguito di leggi antimafia più severe introdotte dal Governo giapponese. Nelle zone dell’incidente nucleare le associazioni criminali sono tutte implicate nei diversi aspetti della ricostruzione, dalla demolizione alla rimozione e al ricollocamento dei rifiuti nucleari. La polizia sta indagando su molti casi riguardanti le attività di ricostruzione e di ricollocamento che coinvolgerebbero anche le mafie italiane (ndrangheta e camorra in primis). In una delle ultime operazioni antimafia della polizia giapponese, è stato arrestato Makoto Owada, un altro membro di alto rango del clan Sumiyoshi-kai, per aver inviato illegalmente scorie nucleari della centrale di Fukushima all’estero attraverso società di copertura internazionali.

Gli stretti legami tra la Yakuza e l’industria nucleare sono noti da molto tempo. A giugno 2018 durante il processo “ndrangheta stragista” Salvatore Annacondia, criminale di spicco nell’area di Bari e vicino a Cosa Nostra afferma: “La ‘ndrangheta calabrese è la mamma di tutti, abbracciava tutti i gruppi in Italia: camorra, cosa nostra e pugliesi. Non c’era gruppo che non avesse contatti con la Calabria. Ha contatti con quasi tutti i gruppi criminali internazionali ed un rapporto privilegiato con la mafia cinese e giapponese”. Il giornalista Tomohiko Suzuki scrive di questi rapporti già nel 2011 nel suo libro: “Yakuza e Nuclear Energy”. Riferisce che la Yakuza per piazzare tutte le scorie nucleari ha avuto contatti anche con le mafie italiane.

Secondo Suzuki, questo sistema non ha avuto inizio con Fukushima – l’industria nucleare ha sempre usato la Yakuza per reclutare persone per i compiti più pericolosi: i lavori che nessun altro desidera. Nel collocare le scorie nucleari ci si è serviti di subappalti e di società di copertura, in modo da evitare qualsiasi tipo di controllo. Nessuno vuole smaltire le scorie di Fukushima e quindi ci pensa la Yakuza peraltro a prezzi molto vantaggiosi e servendosi anche delle mafie di tutto il mondo che fiutando l’immenso affare accorrono ad aiutare i “colleghi” criminali.

Ci raccontano che il disastro di Fukushima sia finito: purtroppo non è così. Una delle ipotesi più attendibili sul coinvolgimento delle mafie italiane, in primis della ndrangheta, riguarderebbe i materiali di scarto, tra cui le acque radioattive, che potrebbero essere state trasportate via mare e poi affondate? Questo, ovviamente, non lo possiamo provare con dati inconfutabili ma se fosse così non ci sarebbe nulla di nuovo, si tratterebbe di un sistema utilizzato dalla ndrangheta nel Mediterraneo da almeno vent’anni.

Sempre Francesco Fonti, ndranghetista e collaboratore di giustizia, ha dichiarato di aver affondato cinque navi, con rifiuti radioattivi provenienti da vari Paesi al largo di Cetraro, nei pressi di Tropea, poi a Melito Porto Salvo, nei pressi di Crotone, a Cirò e persino due in Basilicata, a largo di Maratea e nel mare di Metaponto. Ha precisato che da questo business si incassavano molti miliardi che venivano depositati in banche di Malta, Cipro e della Svizzera. Le aree dove giacciono i relitti dei veleni si stendono ben oltre la Calabria e la costa ionica e disegnano una mappa criminale su scala internazionale, dove il ruolo della criminalità organizzata italiana nella gestione del traffico illecito di rifiuti radioattivi si intreccia con le altre mafie mondiali.

La criminalità organizzata ormai è transnazionale e agisce attraverso una rete di gruppi omogenei collegati tra loro attraverso una matrice transfrontaliera e in pieno regime di solidarietà, complicità e ferreo ordine gerarchico. Le associazioni criminali transnazionali sono attive in una molteplicità di campi che vanno dal traffico di droga, di rifiuti tossici, di merci o di persone ed organi fino all’accaparramento di fondi statali. Al fine di raggiungere i loro obiettivi e proteggere i loro incommensurabili interessi economici tali organizzazioni sono disposte a usare qualsiasi strumento, violento o meno, pur di incrementare le loro attività economico-commerciali. Come non è arduo comprendere, le loro pratiche criminali non sono mai limitate ai soli confini nazionali. Occorrono riforme efficaci per affrontare le nuove sfide delle mafie globalizzate.

Ogni singolo Stato – direttamente o indirettamente interessato – dovrà ristrutturare le istituzioni coinvolte nella lotta alle mafie e si dovranno inevitabilmente rivedere le modalità di cooperazione a livello bilaterale e in un contesto globale. Mentre le mafie si evolvono continuamente, gli Stati sono statici, con burocrazie elefantiache, gerarchie spesso inutili e lente nel prendere decisioni contro le mafie che al contrario sono molto agili, molto collegate in rete, molto flessibili e soprattutto in grado di rispondere rapidamente ai mutamenti economici, politici e sociali in atto.

(Vincenzo Musacchio, giuriste e Presidente dell’Osservatorio Antimafia del Molise)


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