di Cecilia Anna Mariatti
Nell’apprestarmi a scrivere una breve tesi sui rapporti collusivi tra mafie e professionisti (intesi come quei soggetti che, per via della professione che svolgono, fanno parte di un determinato Ordine o Collegio professionale), a conclusione di un percorso di Master incentrato sull’analisi, la prevenzione ed il contrasto della criminalità organizzata e della corruzione, ho subito compreso che, sull’argomento, le fonti cui attingere sono davvero molto poche: la letteratura è assai scarna, per non parlare della più totale assenza di dati (statistici e non) e di studi empirici.
Si palesa, pertanto, una notevole difficoltà per chiunque cerchi di capire cosa realmente sia noto e conosciuto, oggi, di un fenomeno così poco discusso e dibattuto. Per poterne comprendere, anche solo in minima parte, l’entità e la portata, ho ritenuto utile (ed inevitabile) fare affidamento sulle fonti giudiziarie a mia disposizione. Passando in rassegna le relazioni annuali della Direzione Distrettuale Antimafia degli ultimi 12 anni alla ricerca di qualsiasi riferimento ed osservazione relativa a rapporti di contiguità tra professionisti ed organizzazioni mafiose, ho potuto trarre poche ma significative conclusioni: innanzitutto è emerso chiaramente che da almeno dodici anni le fonti giudiziarie fotografano la presenza persistente di tale fenomeno su tutto il territorio della nostra penisola.
In secondo luogo, ho potuto osservare come questi professionisti siano coinvolti in numerosissime attività illecite: trattasi soprattutto di riciclaggio di denaro e traffico di sostanze stupefacenti, ma anche di usura, estorsione, sfruttamento della manodopera in nero e sfruttamento della prostituzione legati all’ulteriore reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, delle minacce, dell’uso della violenza, del possesso di armi/esplosivi, delle scommesse clandestine, della corruzione elettorale, dell’elusione delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e fittizia intestazione di beni, e ancora dei reati in materia di appalti pubblici, dell’appropriazione illecita di incentivi statali e/o comunitari, dei reati corruttivi, delle truffe commesse ai danni dello Stato, del traffico illecito di rifiuti ecc.
Infine, è emerso che questo fenomeno collusivo coinvolge da un lato un po’ tutte le ben note organizzazioni criminali di stampo mafioso autoctone o straniere operanti in Italia e, dall’altro, numerosi esponenti di tutti quegli ordini professionali che, per storia e per numero di membri, hanno un peso non indifferente nella vita (non solo economica) del nostro Paese.
E’ logica conseguenza domandarsi quale posizione abbiano assunto gli ordini professionali rispetto al problema, nella piena convinzione che essi possano giocare un ruolo fondamentale nel contrasto a questa particolare forme di contiguità al crimine organizzato, data, peraltro, l’ampia autonomia normativa e decisionale interna di cui godono.
Pertanto, è indispensabile sforzarsi di capire se gli ordini professionali abbiano deciso di muoversi nel senso di disincentivare e punire duramente, al loro interno, quegli atteggiamenti e quelle condotte collusive che possono instaurarsi tra i propri membri e le organizzazioni mafiose. Un buon punto di partenza mi è sembrato essere la lettura della normativa interna agli ordini, del codice deontologico e dei requisiti di ammissione all’Albo professionale. Per ragioni di tempo, ho potuto svolgere questa analisi in relazione al solo Ordine Forense, sebbene io ritenga che possa essere applicata a qualsiasi altro ordine professionale esistente in Italia.
L’intero lavoro, scevro da qualsivoglia presunzione di esaustività o di completezza nella trattazione dell’argomento, non è nient’altro che un mio personalissimo tentativo di esplorare, seppur in modo parziale (dati i pochi e rudimentali strumenti di cui dispongo), un argomento complesso, di cui oggi si sa davvero molto poco.
Quello della contiguità tra mafia e professionisti resta comunque un argomento ancora tutto da indagare, per questo motivo sarebbe fortemente auspicabile che fosse, in futuro, oggetto di ulteriori studi.