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Mafia Capitale, il “buco della serratura”…

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Fabrizio Feo

Dunque è mafia, “Mafia Capitale”, non più solo nella definizione scelta da Procura e Carabinieri per dare il nome all’inchiesta che portò agli arresti di 4 anni fa: lo dicono le condanne inflitte dalla Corte d’Appello di Roma, pur con delle riduzioni di pena (in particolare da 20 anni a 14 anni e sei mesi per Massimo Carminati e da 19 anni a 18 e 4 mesi per Salvatore Buzzi, da 11 a 8 anni e 8 mesi per Luca Gramazio) e quei 18 imputati che i giudici hanno ritenuto responsabili dei reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, o di  concorso esterno nell’associazione, o ai quali, ancora, hanno attribuito l’aggravante del metodo mafioso previsto dall’articolo 7 della legge del 1991. Tra i 18 compaiono figure non certo di secondo piano  della scena politica e del mondo imprenditoriale romano come l’ex consigliere comunale e poi regionale di Forza Italia Luca Gramazio e Franco Panzironi ex amministratore delegato dell’azienda municipalizzata dei rifiuti di Roma, l’Ama.

Non se l’aspettavano i difensori di Carminati, Buzzi e degli altri imputati accusati di associazione mafiosa. Anzi, è ragionevole ritenere che attendessero un alleggerimento delle condanne inflitte in primo grado, riduzioni di pena magari più consistenti di quelli che, comunque, sono state accordate – ritoccando qua e la, assolvendo da alcuni reati meno rilevanti, intervenendo su alcune circostanze aggravanti, negate come delle recidive, riconoscendo invece qualche attenuante generica.

Ma la condanna per mafia no: quella i difensori la consideravano improbabile se non impossibile.

Così, nell’aula bunker di Rebibbia, rispondendo alle domande dei giornalisti, ancora un po’ disorientati, hanno manifestato sorpresa, disappunto con critiche pesanti all’impianto del processo e dell’inchiesta. “Vedo che per molti cittadini da oggi è molto pericoloso vivere in Italia, è una bruttissima pagina per la giustizia del nostro Paese”, ha detto, ad esempio, il difensore di Salvatore Buzzi. Altrettanto duro il legale di Carminati: “Ormai il processo penale è diventato uno strumento di tutela sociale, attraverso il processo penale la magistratura si arroga un compito che non le compete di moralizzare la società. Qualunque cosa avvenga si apre una inchiesta, questi mettono bocca su tutto e tutti”. E ancora: “…Ormai le indagini si svolgono solo guardando dal buco della serratura e su questo si costruiscono indagini monstre”.

Affermazioni che, a dir poco, lasciano interdetti.

In particolare il legale di Carminati, l’avvocato Naso, si riferisce all’uso delle intercettazioni. Beh, ricordate Salvatore Buzzi ascoltato mentre dice che con l’assistenza ai migranti si possono “fare più soldi che con la droga” o quando si parla del denaro da lucrare sugli appalti parlando  di vacche da mungere, o ancora quando Carminati e Buzzi spiegano la propria strategia di controllo di  politici e imprenditori? Le frasi captate dai Carabinieri del Ros nelle intercettazioni dell’indagine Mafia Capitale non sono  un’occhiata dal buco della serratura, ma raccontano esattamente – e al di la di ogni dubbio – la logica dei capi dell’organizzazione criminale romana.

Difensori e imputati speravano che sarebbe stata riproposta la tesi contenuta nella  sentenza di primo grado, che aveva parlato  di  due associazioni per delinquere ‘semplici’, guidate l’una da Salvatore Buzzi, capo di un nutrito gruppo di cooperative sociali, e  l’altra da Massimo  Carminati, storico esponente della destra eversiva e poi della Banda della Magliana, coinvolto in tantissimi delitti e vicende oscure degli ultimi 40 anni. La prima sentenza aveva affermato inoltre che non era possibile parlare di  una capacità di intimidazione, di una mafiosità e un pedigree criminale discendenti dal rapporto storico di Carminati con la Banda della Magliana.

Quasi dieci mesi fa la procura antimafia e la procura generale di Roma avevano così  impugnato la sentenza solo nella parte in cui il tribunale aveva  rigettato l’esistenza dell’associazione mafiosa.  E ora la Corte d’Appello, accogliendo l’impostazione dell’accusa, sancisce che la rete di affari e corruzione scoperta dal Ros, che si era infiltrata nei gangli politici e amministrativi del Comune di Roma, nelle aziende municipalizzate della Capitale, comprando il favore di esponenti politici di centrosinistra e di centrodestra in comune e alla regione, manovrando  l’assegnazione di appalti, mettendo le mani su lavori nel settori dei rifiuti, dei giardini, per arrivare fino alla gestione dell’accoglienza dei migranti,  si muoveva con la forza della mafiosità, della coppia  Carminati Buzzi e di una squadra agguerrita che agiva ai loro ordini.

Nota di Libera Contro le Mafie

Il mondo di mezzo è mafia. Il riconoscimento dell’associazione per delinquere di stampo mafioso, prevista dall’articolo 416 bis del codice penale, nella sentenza di secondo gradoconfermano quello che abbiamo sempre detto durante il processo: siamo davanti a presenze corruttive rafforzate da condotte mafiose confermate dalla lettura delle carte processuali e delle intercettazioni trascritte che raccontano di una Capitale con ferite profonde, dove la corruzione, il mercimonio della cosa pubblica, una criminalità violenta e predatoria, ha inquinato e condizionato il tessuto sociale, politico ed economico. La sentenza di oggi invita tutti a continuare ad impegnarci sempre di piùconsapevoli che le presenze mafiose e i fenomeni di corruzione , che interessano questo territorio come ormai la maggior parte delle zone del Paese, si contrastano con la re. pressione e gli strumenti giudiziari, ma il primo e imprescindibile strumento rimane il risveglio delle coscienze, l’orgoglio di una comunità che antepone il bene comune alle speculazioni e ai privilegi, contrastando in tutte le sedi la criminalità organizzata e i suoi complici.” Libera in una nota commenta la sentenza di appello del processo Mafia Capitale.

Da liberainformazione


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