Lo stavamo aspettando da sempre il film sugli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi. Eravamo in attesa di vedere ciò che in questi anni abbiamo solo potuto immaginare. Da nove, lunghi anni, chi si è interrogato sulla morte del ragazzo romano 31enne, ha immaginato il momento dell’arresto, del “violentissimo pestaggio”, ma anche l’umiliazione e tutto ciò che una persona inerme può provare di doloroso dietro le sbarre prima, sul letto di un ospedale poi.
La potenza del film che ha aperto la sezione Orizzonti della Mostra del cinema di Venezia, con la regia di Alessio Cremonini e dal titolo Sulla mia pelle, restituisce quegli ultimi, interminabili giorni di sofferenza che hanno messo fine alla vita di Stefano, stravolto l’esistenza dei suoi familiari e di tutti i cittadini italiani: nessuno, infatti, può rimanere tranquillo di fronte alla morte di un ragazzo che si trovava sotto la tutela dello Stato. Nelle sale dal 12 settembre, la distribuzione avverrà in contemporanea su Netflix: una diffusione mondiale.
Per Ilaria Cucchi, si tratta di continuare a percorrere la strada intrapresa nove anni fa: Sulla mia pelle racconta la storia del fratello Stefano, ma soprattutto restituisce la voce a tutti coloro che hanno subito una violenza e sono stati messi a tacere.
Quando sei venuta a conoscenza dell’intenzione di fare un film su Stefano, qual è stata la reazione?
Alessio Cremonini ci ha raccontato dell’idea fin da subito: già dal primo incontro con lui e Fabio Anselmo (avvocato della famiglia Cucchi ndr), abbiamo percepito la sua sensibilità. Ho avuto perplessità a lungo: si tratta di mettere in mano ad altri il mio dolore. Ma di lui sentivo che potevo fidarmi e da noi, man mano, ha avuto tutta la documentazione.
Ad interpretare Stefano è Alessandro Borghi, definito magistrale nel suo ruolo, mentre a far rivivere quello che hai provato tu in quei giorni è Jasmine Trinca.
Entrambi ci sono stati sempre molto vicini a partire dalla partecipazione ai memorial per Stefano. Ma la loro sensibilità mi ha sorpresa perché nell’interpretazione di Jasmine ho ritrovato le emozioni e le paure vissute in quei giorni, Alessandro ha capito e restituito il carattere, l’emotività di Stefano. È riuscito a farmi capire cosa può aver pensato in quei momenti tremendi.
Che significato ha il fatto che la storia di Stefano diventi un film e quindi il racconto di una tragedia si trasformi in conoscenza, consapevolezza, in una parola: cultura?
Significa poter arrivare a tutti. Lo scopo della mia vita è diventato cercare in ogni momento di tirare fuori non solo la voce per ottenere giustizia. Ma anche gli aspetti positivi di tutta questa vicenda: parlarne e farne parlare per far uscire da una situazione di solitudine chi si sente impotente di fronte a un abuso.